Ormai è chiaro. Quella di José Mourinho alla Roma sarà un’opera permanente oltre che avvenente. L’ “Ave Mou” si aggiornerà di tanti nuovi capitoli e quando, il più tardi possibile, sarà tutto fi nito una cosa la diremo con certezza, alla faccia di tutti e soprattutto dei pallosi che contabilizzano la vita numerando gli scalpi che hai nella bisaccia: «Non ci siamo mai annoiati».
Tutto con lui è stato, sarà stato, maledettamente eccitante, copiosamente adrenalinico. In questo senso, lo dico e lo firmo con il sangue, l’Uomo dalle Mille Panchine ha già stravinto, prima ancora di vincere eventuali trofei, coppette o medaglie. Ha stravinto già scatenando questa regressione collettiva ai tumulti cardiaci dell’infanzia, sua e delle decine di migliaia attorno a lui, El Shaarawy e compagni inclusi.
L’avevamo già visto correre come una lepre festosa in altri contesti in giro per il mondo, tra Milano, Londra, Porto e Madrid, ma c’è corsa e corsa. Nulla di paragonabile. Quella di domenica sera dentro un Olimpico pazzo di gioia e bagnato di lacrime, dentro quella maglia color amaranto, una delle tante varianti del rosso romanista, era una corsa memorabile per quanto sgorgava dalla pelle, per quanto sudata, smandrappata e minacciata dall’infarto.
Lo José sfrenato di domenica sera, calamitato dalla Sud, come un ballerino di fandango, senza nacchere, se non quelle che battevano il ritmo del cuore, che correva dalla sua bella, era la versione mouritania del Carletto Mazzone d’antan, scaciata e maleducata, decisamente più glamour, ma solo perché il glamour di José prescinde dalle sue intenzioni. Ha il potere unico di fecondare il mondo anche a partire da magliette sudate, fili di adipe e capelli imbiancati. Addosso a chiunque altro sarebbero indizi di senilità e di decadenza, addosso a lui sono una delle infinite varianti del suo caleidoscopico carisma.
La verità è che stiamo scoprendo con stupore crescente un Mourinho più stupefacente di quanto già immaginassimo per sentito dire e celebrare. Un ventaglio di registri. Uno che modella la sua presa sul prossimo, adattandola al contesto in cui è calato. Un abile Zelig? Uno scaltro camaleonte del “sono come tu mi vuoi”? Tutt’altro! Siamo all’opposto. La chiamerei intelligenza empatica combinata a una forte vena da istrione.
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. Dotto