In media stat virus. Da dove sia partito il germe che assedia la Roma è ormai argomento che attiene alla ricerca storiografica. Ma è innegabile che il club non susciti simpatie in larga parte della comunicazione. Intesa in senso lato: dai mezzi classici ai social ai personaggi pubblici, che nell’ostentare fede giallorossa ci aggiungono anche quel pizzico (o molto di più) di veleno. Non verso gli avversari, ma nei confronti della stessa squadra che sostengono di tifare. Qualche settimana fa un attore figlio di un noto personaggio dello spettacolo, nel presentare una sua opera in tv, si è dilungato sul mercato giallorosso. Erano i giorni più bui e sparare a zero su Monchi era diventato esercizio semplice quanto diffuso. Nell’elencare i presunti errori del dirigente, ha citato la cessione di Dzeko. Testuale: «Perché per me è stato ceduto». Ormai oggetto del sarcasmo è la Roma.
Il dato del Cies che la pone fra le più stabili d’Europa per quanto riguarda la permanenza media dei giocatori, sventra una delle tante bandiere della critica pregiudiziale, forse quella maggiormente usurata dal continuo sventolio degli ultimi tempi. Ma non svela nulla di nuovo. Se non a chi non ha voglia di guardare, prigioniero di slogan o tifoso di grottesche fazioni. Molto più che della stessa Roma. Perché in questo assurdo, snervante bipolarismo fra chi si sente al governo e chi all’opposizione (a seconda della fiducia riposta o meno nella società), si è perso di vista il bene primario. Smarriti in un manicheismo che se non fosse tragico sarebbe comico. Pronti a sparare a zero in direzione di chiunque provi a spostare l’attenzione sul bene della Roma. E di chi le sta accanto. (…)
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