Proprio qui sta il bandolo del «famolo». O del facciamolo, uscendo dalla lingua locale. Il nuovo stadio della Roma, domenica rilanciato da Luciano Spalletti in diretta televisiva, agganciato dalla rete, trascinato da una corrente arrivata, quella sì, fino sui denti dei talebani della negazione, continua però a galleggiare a stento. Gli pesano in pancia dialettiche politiche che lo zavorrano e lo sbilanciano come palle di cannone lasciate libere di rotolare. Oggi la Roma e il costruttore Luca Parnasi incontrano in Campidoglio la giunta comunale con tutte le sue sfumature: la possibilista Virginia Raggi, sindaco in carica, il mediatore e responsabile cittadino dello sport Daniele Frongia, l’irriducibile assessore all’urbanistica Paolo Berdini. Con l’aggiunta, a quanto si sa, di un rappresentante del Movimento 5 Stelle di livello nazionale. Perché tra le pozzanghere giudiziarie in cui si è infangato il candore dell’amministrazione romana e il frastuono non solo digitale innescato dall’appello di Spalletti («Famo ‘sto stadio », diventato il seguitissimo hashtag #FamoStoStadio), il quale peraltro invoca impianti analoghi in tutte le città interessate al calcio, la questione ha cominciato a riguardare il sistema Paese.
RISULTATI – Quindi, giusto: non più solo famolo, bensì facciamo gli stadi. E’ questo il senso dell’intervento dell’ex premier Matteo Renzi, ieri nella sua newsletter, capitolo intolato appunto “Lo stadio? E fàmolo”: «Mi hanno colpito le parole di un grande allenatore come Luciano Spalletti. Al netto del tifo, ha lanciato un appello alla realizzazione degli stadi di proprietà, proprio nella settimana in cui la Roma vede incomprensibilmente allontanarsi il proprio progetto urbanistico. Non è solo un fatto economico per il territorio (posti di lavoro e indotto), ma soprattutto un fattore di crescita e competitività per tutto il mondo sportivo italiano. Dobbiamo fare degli stadi luoghi accoglienti e ospitali per le famiglie e anche vendere i diritti televisivi in Cina, amici. Solo così torneremo ad avere il campionato più bello del mondo. Se si dice no a tutto, come accade in qualche città, si blocca il futuro. Si bloccano gli investimenti. E ci si condanna a vivere di rimpianti». Aggiungendo, a conclusione di (apparentemente) altro discorso: «Quanto al sindaco di Roma, buon lavoro. I cittadini la misureranno sui risultati. Ecco, i risultati». Allora sembra tutto molto chiaro, uno schieramento favorevole a cui ieri si è aggiunto il ministro dello sport Luca Lotti, lo stesso dell’iniziativa antibarriere: «Il governo non c’entra niente. Ma io sto con il Mister Spalletti». Un altro schieramento incerto sul da farsi. Una minoranza forte ed energica all’opposizione di questo progetto che comprende lo stadio ma anche costruzioni commerciali e opere pubbliche. Ma poi tutto sfuma perché ognuno spera di veder fare pessima figura agli altri. E tutti si preparano, nel caso in cui alla fine il banco saltasse, a sostenere che la colpa sia dell’altro.