Io c’ero. Con Totti è sempre così. Lo è stato il 28 maggio 2017, quando l’Olimpico si è riempito per il suo addio al calcio e c’è chi ha messo in cornice il biglietto DELLA partita, perché altre «vere» non ce ne sono più state. E lo è stato ieri, al Colosseo, per la presentazione di «Un Capitano».
Per avere in anteprima il libro, scritto dal Capitano insieme a Paolo Condò (Rizzoli, 512 pagine, 21 euro), c’è chi si è messo in fila a mezzanotte in 12 librerie rimaste aperte fino alle 2. Per essere al Colosseo, però, non serviva né la pazienza né un bagarino: era una serata a inviti. Io c’ero al cubo. E c’erano i compagni del Mondiale 2006; l’amico-nemico-amico Antonio Cassano, Rosella Sensi. Monchi e Mauro Baldissoni, passato e presente della Roma. E c’erano pure il presidente del Coni Giovanni Malagò, la sindaca Virginia Raggi, il presidente della Regione Nicola Zingaretti (ammesso anche se la regione è Lazio), l’ex sindaco Walter Veltroni. C’era l’erede Daniele De Rossi, il Capitan Futuro che ha dovuto aspettare anni per diventare Capitan Presente, con Vincent Candelà e Gigi Di Biagio. C’era Ilary Blasi, alla quale sono dedicate tante pagine, come quella del consiglio più saggio: smettere dopo la doppietta segnata al Torino (20 aprile 2016). C’erano Alfonsina Russo e Mariella Enoc, direttrici del Parco Archeologico del Colosseo e dell’Ospedale Bambino Gesù, perché Totti fa sempre notizia e spesso la notizia diventa un atto d’amore per Roma o per chi ha bisogno. C’era chi lo ha allenato – Ranieri, Delneri, Prandelli e il ct azzurro Lippi – ma non c’era Spalletti. Non era stato invitato. Come Carlos Bianchi.
E lui, al Colosseo come sul campo di calcio, è stato un mattatore. Totti ha presentato il suo libro con la stessa naturalezza con cui segnava un gol o serviva un assist. Racconti, battute, ricordi, sentimenti. Si aspettava le dimissioni di Baldini per quello che è stato scritto nel libro? «Non speravo questo, spero non si arrabbi nessun altro. Non ho fatto questo libro per togliermi qualche sassolino dalla scarpa, l’ho fatto per parlare di me, di 25 anni di Roma. Dovrebbero essere contenti, anche perché ne ho parlato». Dall’inizio alla fine, dai primi calci all’addio che ha fatto piangere tutto l’Olimpico: «Ho imparato a giocare per strada. La strada ti aiuta, era la realtà. C’erano più amicizia e più verità. Adesso i ragazzi sono tutti tecnologici». C’è ancora il rimpianto per essere stato costretto a smettere: «Sicuramente avrei preferito decidere con la mia testa, con il mio fisico, quale era il momento giusto per smettere. Magari lo avrei fatto ugualmente, negli stessi tempi ma in altri modi. Sarebbe stato diverso».