Il derby fa proprio storia a sè. Basta vedere come lo conquista la Roma, presentatasi alla Partita in ritardo sulla Lazio in classifica (e nonostante il successo rimane comunque a -1) e in piena crisi d’identità. E’ suo con questo 3 a 1 che non fa una piega. Ampiamente meritato perché rispecchia quanto visto sotto il sole dell’Olimpico che ha illuminato solo i giallorossi, squagliando invece i biancocelesti, planati in campo con la convinzione che fosse sufficiente la striscia delle 5 vittorie consecutive per dare un senso alla giornata. Sono le chance create a far capire come mai sia finita così. Olsen ha avuto poco o niente da fare; Strakosha, più impegnato del collega, non ha resistito in piedi: il suo ko è quello della squadra. Di Francesco, pur restando lontano 10 punti dalla Juve capolista e ancora fuori dalla zona Champions, ha dunque rialzato la testa nel pomeriggio probabilmente cruciale della sua avventura nella Capitale. Ha scelto bene all’inizio e ha cambiato correttamente in corsa. Ha trasmesso i suoi concetti che hanno garantito il pieno controllo della sfida, vinta con l’organizzazione e la personalità, ultimamente mancate al suo gruppo. La differenza nella qualità degli interpreti lo lo ha agevolato in ogni reparto. E Inzaghi se n’è accorto sia all’alba del match che più tardi. Quando i migliori steccano, ecco che anche le correzioni sono a salve.
RIPARTENZA ALTRUI – In contromano l’inizio del derby. Il pressing della Lazio, alto e aggressivo, sorprende la Roma. Ma non è efficace: Luis Alberto è in letargo, Milinkovic intermittente. Tentativi fiacchi di Marusic e Immobile. In totale 20 minuti di morbidezza biancoceleste in attacco. E di timidezza giallorossa in attesa. Il 4-2-3-1 di Di Francesco, con Florenzi alzato davanti a Santon per rendere meno spregiudicato il sistema di gioco, tiene con De Rossi e Nzonzi. Loro e i centrali Manolas e Fazio fanno muro e permettono, già a metà tempo, di sfruttare il contropiede, rubando proprio l’idea a Inzaghi che di solito lo usa semplice e concreto. Dzeko ed El Shaarawy partono e colpiscono, Strakosha ancora non barcolla. Olsen devia su Immobile, ma la Roma ormai riparte senza trovare ostacoli. Si arrende Pastore, occupatosi fin lì più di Leiva che della rifinitura. Entra Lorenzo Pellegrini e da trequartista. Si prenderà il derby in prima persona. Iniziando con il tacco del vantaggio (10° marcatore stagionale): anche a Cinecittà, dunque, conoscono quella giocata spalle alla porta. Luiz Felipe e Strakosha, lo stesso Caceres, partecipano, loro colpevolmente, all’azione che indirizza il match prima dell’intervallo.
A SENSO UNICO – La Roma, pure nella ripresa, non modifica il copione. La ripartenza è sempre su El Shaarawy e adesso pure su Florenzi che si riconosce nel vecchio ruolo. Dzeko c’è, di sponda. Come per il 1° gol. Solo che l’egoismo, suo e di El Shaarawy che è il primo a peccare, rischia di far saltare il piano di Di Francesco. Inzaghi, con 2 sostituzioni, si specchia nel collega e passa al 4-2-3-1: a destra Correa, fuori Luis Alberto, Badelj accanto a Leiva in mezzo e Parolo richiamato in panchina. Il pari non viene dalle sue mosse ma dalla gaffe di Fazio. Che regala la palla e il pari a Immobile (4° gol in questo torneo). La Lazio, però, resta fragile e vulnerabile. Percussione di Pellegrini, steso da Badelj. Punizione dal limite: sinistro dell’ex Kolarov e dormita di Strakosha per il nuovo vantaggio. Di Francesco interviene per archiviare il match e vincere il 2° di fila: Cristante per De Rosi e il 4-3-3 che, in fase difensiva, è l’equilibrato 4-1-4-1 con Nzonzi di guardia. Paratina di Olsens su Milinkovic. La Roma quando riparte, invece, rimane pericolosa. Pure con Jesus per Florenzi e per il 5-3-2 in risposta al 4-4-2, con Caicedo in campo per Lulic. Pellegrini, su punizione, abbassa il sipario con l’arcobaleno per Fazio che si riabilita: testa per il tris, da centravanti.