2 marzo 1980, 2 marzo 2019. 39 anni di distanza e due derby collocati nella stessa data. E nello stesso posto, lo stadio Olimpico. Due Lazio-Roma, peraltro. Il primo finì 2-1 per la Roma, il secondo deve ancora giocarsi. Il gol decisivo fu realizzato da Paolo Giovannelli, con una botta da fuori area che finì sotto l’incrocio dei pali. Un momento che segna la carriera del centrocampista nella Capitale. È anche il suo unico gol nel periodo romanista. “Ancora oggi, ogni anno, mi chiamano dai giornali romani e mi chiedono di quel derby, ma è sempre un piacere…”.
Dunque, non le dà fastidio essere ricordato quasi esclusivamente per quel derby? “No, affatto. Fu un momento esaltante, con un bel gesto tecnico da parte mia e la corsa sotto la Curva Sud. Mi fa piacere che ancora oggi venga ricordato, sono passati quasi quarant’anni”.
Lo sa che sabato sarà 2 marzo, proprio come quel pomeriggio che la vide protagonista? “Non ci avevo pensato e mi fa piacere. Ricordo l’atmosfera di quel giorno, molto particolare in campo e fuori”.
Fu la stracittadina di ritorno dalla tragedia di Paparelli… “Per questo dicevo atmosfera particolare. Sugli spalti si videro anche striscioni vergognosi da una parte e dall’altra. In campo pure c’era un’aria strana. E non solo per vicende calcistiche”.
E per quale altro motivo? “Si percepiva in qualche modo quello che sarebbe accaduto di lì a una ventina di giorni. Ovvero, gli arresti per il calcioscommesse. Nessuno di noi della Roma aveva capito a fondo cosa sarebbe accaduto. Ce ne accorgemmo successivamente, con l’arresto in campo di alcuni giocatori biancocelesti proprio all’Olimpico”.
Tornando alla gara, la Roma vinse meritatamente quel confronto… “Assolutamente, fu un successo pieno. Voluto fino all’ultimo minuto. Avemmo la forza di rialzarci dopo il momentaneo pareggio di D’Amico. E segnammo, segnai, dieci minuti dopo l’1-1. Noi andammo in vantaggio con Pruzzo sempre nella ripresa. Una vittoria che segnò come un nuovo inizio pure per la Roma”.
Spieghi meglio… “Beh, in quella circostanza vincemmo il derby che rappresentava già tanto per quei tempi, dato che molto della stagione si decideva proprio nella sfida alla Lazio. Ma non fu l’unico successo di quell’annata. Vincemmo una Coppa Italia ai rigori con il Torino e quell’affermazione rappresentò il primo titolo per Dino Viola presidente, che subentrò ad Anzalone proprio nel 1979. Da quel momento, si posero le basi per la squadra che avrebbe vinto il campionato tre anni dopo”.
Come arrivò in giallorosso? “Venivo dal Cecina, dalla Serie D. Esordii poco più che sedicenne e questo era un fatto anomalo, considerando che si trattava di un campionato semiprofessionistico. Iniziai ad essere seguito da vari club, sostenni qualche provino in giro per l’Italia, ma poi l’offerta migliore fu quella della Roma”.
Chi si spese per lei? “Fu Moggi a concludere il mio acquisto. Lui e il suo staff di osservatori che mi avevano seguito nel corso del tempo. Ci fu pure un episodio particolare, un aneddoto simpatico che avvenne poco prima della mia firma…”.
Racconti… “Era il 1976, venni al Flaminio per un’amichevole tra la Roma e una rappresentativa juniores della nazionale. Io entrai nel secondo tempo al posto di De Sisti e feci un grande gol. Una giocata che non passò inosservata ai presenti, tanto che a fine gara i giornalisti si interessarono venendo a chiedere informazioni. Ma non era ancora ufficiale il mio trasferimento, tanto che mi presentai con la borsa del Cecina. E quando stavo per uscire dagli spogliatoi, Giorgio Perinetti coprì con la giacca la mia borsa per non far vedere il nome del Cecina”.
Lei, comunque, risulta campione d’Italia con la Roma nel 1982-1983… “Il Barone (Liedholm, ndr) mi fece entrare in Roma-Torino 3-1, ultima giornata di campionato, al posto di Iorio. Fui presente anche nella foto a fine anno, tutti col tricolore sul petto. Ma, onestamente, quello scudetto non me lo sento propriamente mio. Magari se non avessi avuto quel grave infortunio, una decina di partite avrei potuto giocarle. A Claudio Valigi capitò, ad esempio”.
Si porta dietro qualche rammarico per la sua carriera? “No, anzi. Sono contento di quello che ho avuto nella vita. Faccio solo dei ragionamenti, delle ipotetiche sliding doors. È andata diversamente e io resto comunque soddisfatto. Ho giocato nel professionismo fino al 1992, ho conosciuto tanti personaggi importanti”.
Uno fra tutti, Liedholm… “Il “Barone” è stato un grande, una figura ingombrante per tutto il carisma e la personalità che si portava dietro. Si soffermava tanto con i giovani, li faceva migliorare, anche se poi parlava poco. Ma si faceva capire. Era davvero un grande allenatore”.
La Roma oggi? “La Roma oggi è una squadra importante e continuo a seguirla con affetto. Sono tifoso, qualche volta vengo pure allo stadio Olimpico a seguirla”.
Anche di recente? “Sì, venni lo scorso anno per Roma-Liverpool di Champions League, sfruttando l’occasione che la società mette a disposizione per i suoi ex calciatori. Venire allo stadio gratis in tribuna nella parte dedicata ai membri della Hall of Fame e a tutti gli altri che in passato hanno vestito questa maglia. Io l’ho indossata con orgoglio, questa maglia, e ho anche deciso un derby, il 2 marzo 1980”.