Quali fossero i rapporti tra il presidente del consiglio comunale di Roma e gli imprenditori ben si comprende ascoltando le parole del costruttore Luca Parnasi, che a un amico rivela: «Ho ritenuto di affidare un incarico allo studio Mezzacapo per non scontentare Marcello De Vito». Eccola la «messa a disposizione della funzione pubblica» che ha convinto il giudice a ordinare l’arresto del politico pentastellato. Il resto lo fanno i soldi che De Vito e il suo socio Camillo Mezzacapo (con l’aiuto della «sua persona di fiducia» Virginia Vecchiarelli) avrebbero fatto arrivare su conti della Mdl srl, che condividevano e gestivano, trovati grazie alle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo. (…)
De Vito e Mezzacapo erano soci di studio e da quando il primo è entrato in politica, l’altro sembra essersi ritagliato un ruolo di mediatore tra lui e gli imprenditori. E così, quando emergono problemi, Mezzacapo rassicura Parnasi «che per superare le difficoltà abbiamo chiamato il nostro amico per farlo intervenire con forza» ed è stato lo stesso costruttore «nel corso dell’interrogatorio del 3 ottobre 2018 a confermare che si trattasse proprio di De Vito», più volte in altri colloqui definito «l’amico potente».
Lo schema messo in piedi era semplice. E avrebbe consentito a De Vito di ottenere 260 mila euro, più una promessa per altri 140 mila. (…)
Per far approvare le delibere, De Vito evidentemente sa che non può contare solo su sé stesso. Il giudice lo dice in maniera chiara lasciando intendere che le indagini non sono affatto concluse e potrebbero presto portare ad altri clamorosi sviluppi: «La funzione pubblica esercitata da De Vito è oggetto di mercimonio, stabilmente asservita agli interessi dei privati… Nel promettere per il tramite di Mezzacapo il suo intervento lo modula a seconda delle necessità. Quando non può farlo direttamente si rivolge agli assessori competenti per materia, ovvero ai consiglieri comunali, ovvero ancora si avvale di tutta la sua rete di relazioni in modo da poter comunque sollecitare l’intervento di altri pubblici ufficiali che operano all’interno dell’amministrazione capitolina».
Il 31 maggio De Vito parla al telefono con Parnasi «sulla possibilità di influenzare le scelte di consiglieri e altre cariche capitoline».
Parnasi: «Gli dico, parlo con Daniele (Frongia ndr)».
De Vito: «rinvialo questo passaggio senza…no? Dell’Eurobasket». Parnasi:«Glielo sfumo, glielo sfumo! Siccome Daniele è uno che è una volpe, ha una velocità in testa che…! Io con Daniele ho un buon rapporto lui onestamente è un po’ è un po’ come si dice a Roma “rintorcinato” termine giusto, mi sbaglio?». De Vito: «Ha la modalità del giocatore di scacchi russo».
La giudice sottolinea come De Vito e Mezzacapo «sono sempre a caccia di un modo per ampliare il loro “portafoglio clienti”». E tra le conversazioni che lo dimostrano ne cita una del 31 maggio scorso, quando si affronta il problema dello stadio. De Vito appare preoccupato, vuole sapere «noi come ci entriamo?». E Parnasi non si scompone: «Usiamo il solito schema». Vale a dire «fatture emesse da Vecchiarelli con una duplice finalità: giustificare formalmente la percezione del prezzo della corruzione e consentire alle società del gruppo Parnasi l’evasione delle imposte».
«Non ti vede nessuno» (…)