Sempre più imprescindibile. Lo è da quando ha messo piede per la prima volta a Roma, Edin Dzeko, anche se qualche fase meno convincente l’ha vissuta perfino lui, nella stagione d’esordio e in quella passata. Ma l’indiscutibile personalità, la classe cristallina e i numeri che più di ogni altro argomento spazzano via ogni possibile obiezione, lo rendono il fuoriclasse della squadra. Il campione irrinunciabile. In qualsiasi circostanza, più ancora in quella attuale.
Fonseca ha recuperato buona parte degli infortunati di lungo corso, che indirettamente avevano costretto i pochi disponibili agli straordinari nelle sette partite disputate fra il 20 ottobre e il 10 novembre. Rientrati in gruppo Mkhitaryan e Pellegrini durante questa sosta di campionato per le nazionali, il tecnico portoghese può contare da qualche settimana anche sul recupero di Perotti, Ünder e Diawara. Cinque elementi che rimpinguano la rosa a disposizione dalla cintola in su, nonostante dietro qualche fastidio muscolare tenga ancora ai box Spinazzola e Mancini, rispettivamente da Parma e dal ritiro azzurro.
È il reparto avanzato quello che annovera un uomo solo: Dzeko appunto. Proprio quando il bosniaco sembrava dover necessariamente tirare i remi in barca, per l’infortunio allo zigomo e il successivo intervento che gli ha permesso di andare in campo soltanto con la maschera protettiva, il suo sostituto designato Kalinic si è a sua volta fermato. Frattura del perone la diagnosi, ritorno non prima di dicembre la prognosi.
È accaduto al termine del primo tempo della sfida di Marassi contro la Sampdoria di Ranieri, unico match di campionato in cui Edin ha cominciato in panchina. Dopo l’intervallo è stato costretto a stringere i denti e rientrare in campo con tanto di supporto facciale, che ha dovuto indossare fino alla partita casalinga col Napoli, quando se l’è scrollato di dosso, dando la sensazione di liberarsi di un fardello necessario ma che gli ostruiva una visuale completa. E il centravanti giallorosso ne ha bisogno più di altri, per il suo modo di interpretare il ruolo. (…)
FONTE: Il Romanista – F. Pastore