U na telefonata di buon mattino, appena letti i giornali, i toni che si alzano, poi un finale più conciliante. Ma il dissenso resta totale. Gabriele Gravina non ha gradito le accuse al suo operato espresse dal presidente del Coni Giovanni Malagò, nell’intervista al Corriere dello Sport-Stadio. E gliel’ha detto con tutti i suoi argomenti nei venti minuti di colloquio, arrivando a sostenere che quelle censure suonano come un atto di sfiducia da chi «non è più in sintonia con lo sport».
Il presidente della Figc rifiuta la critica di «procedere a vista» e di non aver trovato un accordo chiaro con tutti i soggetti coinvolti, dai presidenti dei club alla Lega, dalla Uefa alla Fifa, dai calciatori alle Tv. Perché le conference call con tutte le componenti che gravitano attorno al calcio sono quasi quotidiane, e così pure i contatti con l’Uefa e le leghe top, consultate almeno sei volte nell’ultimo mese e con cui si tornerà a parlare il 21 aprile. Ma tu, gli avrebbe chiesto provocatoriamente Gravina in uno dei passaggi più accesi, saresti riuscito a mettere d’accordo chi punta allo scudetto con chi teme di retrocedere? Il riferimento era da una parte a Lotito e dall’altra a Cairo e Cellino, i più esposti nella campagna contro la ripresa.
Perché il presidente della Figc è convinto che una parte dei dubbi e delle polemiche contro la sua linea rispondano ad interessi che poco hanno a che fare con la salute dei calciatori e le fi nanze dell’impresa calcio. Che lui, come ha ribadito nella telefonata a Malagò, intende difendere insieme e allo stesso modo. E la prova che ciò sia possibile sarebbe venuta proprio dall’avallo del comitato scientifi co della Federazione, che ha vidimato la road map per far ripartire gli allenamenti, convincendo anche il virologo Giovanni Rezza a fare marcia indietro e ad aprire alla fase due del calcio.
Quanto ai conti del sistema, le ragioni per non fermarsi sarebbero, secondo Gravina, ancora maggiori. Il contratto stipulato tra la Lega e Sky dispone infatti che una riduzione del numero di partite giocate determini una riduzione proporzionale dei diritti pagati al calcio dal network, a meno che lo stop non sia imposto da una causa di forza maggiore. Tale causa sta, secondo Gravina, nel decreto del governo. Fare propria una volontà della pubblica autorità signifi cherebbe rinunciare a trecento milioni di euro. Chi non comprende questo, avrebbe rinfacciato Gravina a Malagò, non fa gli interessi del calcio.
La strategia della Figc continuerà a ruotare attorno a tre punti fermi. Primo: quando il governo riapre il Paese, il calcio riparte. Secondo: si riparte insieme con le altre federazioni europee. Terzo: i campionati si portano a termine, anche se si trattasse di giocarli in autunno. Per questo Gravina ha respinto al mittente le accuse di indeterminatezza sui tempi e sui piani. L’unico riferimento oggettivo è la data del 4 maggio come probabile fine del lockdown. Se la previsione sarà rispettata, ha detto il presidente della Figc, facciamo tre-quattro settimane di ritiro e di controlli sanitari e il primo giugno si parte, per finire a metà luglio. Se il governo pospone la riapertura di quindici giorni, il campionato slitta e si adegua alle norme.
Questo nel pensiero del capo del calcio italiano è realismo, non indeterminatezza. E soprattutto rispetto delle norme. Certo, altre federazioni si sono orientate diversamente e hanno cancellato i campionati. Ma adesso, avrebbe ammonito Gravina, vedrai che conflitti che si aprono. La dimissione dei presidenti del volley ne sarebbe a suo giudizio solo l’antipasto. Se io avessi riunito il consiglio federale e bloccato i campionati con un atto d’imperio, avrei commesso un abuso di potere. E come glielo sarei andato a spiegare a Oreste Vigorito, che col suo Benevento ha 22 punti di vantaggio sulla terza? O come avrei detto alla Roma che deve rinunciare al suo sogno di qualificarsi per la Champions? (…)
FONTE: Il Corriere dello Sport – A. Barbano