Il talento è una dote di famiglia. Sbarcato da perfetto sconosciuto dalla Serie B spagnola, Gonzalo Villar si è preso la Roma nel giro di un anno e aspetta che il fratellino Javi diventi bravo come lui. Dietro questo regista che non perde mai un pallone e fa impazzire i romanisti, c’è un ragazzo normale. Quindi speciale nel mondo del calcio. Si informa su Twitter, va all’università, non pubblica foto con fidanzate e pensa soprattutto a giocare. Villar sceglie Il Tempo per raccontare come gli è cambiata la vita. Ed è solo l’inizio.
Che momento è? «A livello personale è buonissimo. In parte me l’aspettavo, sin dal primo giorno volevo diventare un giocatore importante nella Roma, esserci riuscito è un qualcosa di incredibile».
A cosa punta la Roma? «Adesso siamo terzi e vogliamo mirare al secondo posto. Guardando sempre davanti possiamo raggiungere a fine stagione il nostro obiettivo che è quello di riportare la Roma in Champions».
E in Europa League? «Affrontiamo un avversario forte come il Braga che milita in un campionato che non conosciamo bene, sarà una partita difficile».
Cosa sarebbe disposto a fare per vincere la coppa? «Mi taglio i capelli a zero. Anzi a “uno”. Non l’ho mai fatto».
Perché non vincete mai contro le grandi squadre? «Ogni partita è stata diversa. Una volta un errore, una volta non siamo concreti, un’altra tiriamo troppo poco. Forse subentra un problema a livello mentale, come se questa voglia di dover battere una big ci faccia scattare qualcosa nella testa. Ci mancano piccoli dettagli, la Juventus ha segnato alla prima occasione, a noi è mancata concretezza ma un passo in avanti lo abbiamo fatto».
Che è successo in Coppa Italia? «È stata una giornata sbagliata, forse avevamo ancora nella testa il derby. Se giochiamo quella partita dieci volte, nove la vinciamo. Prendi un gol subito e poi un altro. Abbiamo avuto occasioni per segnare il 3-2 che di solito non falliamo, poi nei supplementari due espulsi e la gara è diventata dura».
Vi siete resi conto in campo delle sei sostituzioni? «Io non lo sapevo, in Spagna ad esempio è possibile fare un sesto cambio ai supplementari. Ma abbiamo perso in campo ed è colpa di noi giocatori. Poi c’è stato un errore umano. Non deve, ma può succedere. Ho 22 anni e posso sbagliare, come l’ex team manager Gianluca Gombar che ne ha 27. Tutti hanno scritto che abbiamo perso a tavolino, ma la realtà è che in campo è finita 4-2».
Siete cinque spagnoli nella Roma… «Una piccola famiglia che parla la stessa lingua, compresi Fazio e Pastore. Con Borja Mayoral e Carles Perez siamo più giovani e uniti, ma stiamo tutti insieme».
Cosa pensa della situazione di Dzeko? «Non ci piace parlare di queste cose fuori. Dico solo che Dzeko è un giocatore pazzesco e lo sceglievo da piccolo alla PlayStation».
E adesso gli indica con il dito i passaggi in campo… «È la vita, sono diventato un joystic nella realtà! Ma se dico a Edin a chi darla, fa bene a seguirmi (ride, ndr)».
I gol sono il suo punto debole? «È vero. Da regista non ho molte occasioni di entrare in area, magari scarico il pallone sulla fascia a Spinazzola, penso di inserirmi, alzo la testa e vedo Veretout che sta già in area. A quel punto mi fermo, perché devo pensare alla marcatura preventiva. Qualche volta prima della partita dico a Jordan: “Mi raccomando alterniamoci ogni tanto”. Lui dice “sì sì” ma non lo fa mai e in area ci va sempre lui. La verità è che io sono più votato al passaggio, è una cosa che ho dentro di me. Se vedo un compagno libero la passo, non calcio in porta. Ma è vero che ogni tanto dovrei essere un po’ più egoista».
Oltre a giocare bene, gesticola molto in campo. Ci spiega perché? «Metto tanta passione e non riesco a non far vedere come mi sento durante la partita. Se non arrivo a fare un tackle mi metto le mani tra i capelli. Sono molto espressivo con le mani, lo faccio sin da quando ero piccolo».
Il suo rapporto con Totti come è proseguito? «Appena sono arrivato a Roma l’ho incontrato per caso in un ristorante, ero lì con alcuni amici e lui era seduto a un tavolo vicino. Gli ho chiesto se potevamo fare una foto insieme e non credo lui sapesse chi fossi. Poi ci siamo visti, siamo andati a pranzo insieme ed è stato un piacere ascoltare tutte le sue storie. Sentirmele raccontare direttamente da un giocatore come Totti è stato incredibile, la mia vita è cambiata tanto negli ultimi mesi».
In cosa? «La gente a Roma mi vuole bene, lo sento, mi fermano ovunque per fare le foto e mi dicono cose bellissime. In Spagna non c’è niente di simile, non esiste nessuna città così legata a una squadra, neppure Madrid. Se giochi nella Roma diventi quasi una divinità».
Può diventare un problema troppa pressione? «Non credo. Parlo a livello personale, non ho mai negato una foto perché sono stato un tifoso anche io, però tante volte ti piacerebbe essere meno conosciuto per poter uscire con gli amici. A me piace fare la vita normale di un ragazzo giovane della mia età».
A Roma ha trovato anche l’amore? «La mia vita sentimentale è ancora segreta».
Con le ragazze va meglio lei o Zaniolo? «Meglio non rispondere a questa domanda! (ride, ndr)».
La nazionale? «Sarebbe un sogno giocare l’Europeo Under 21 e poi con la Spagna dei grandi. Ma manca tanto»
Luis Enrique poi l’ha vista la partita su Dazn come gli chiesto di fare su Twitter? «Quello era un gioco, sono un tipo sempre sorridente, mi piace scherzare nella vita e alleggerire le cose. Quando si lavora ok, ma non si può essere sempre seri. Devo dire che quel tweet è piaciuto a tanti, ma il mio social media manager non era troppo contento».
Al suo contratto ci pensa? «Sono tranquillo perché sono felice qui e quando fai le cose fatte bene, il resto arriva da solo».
Come e dove si immagina tra cinque anni? «Magari come uno dei calciatori più importanti della Roma, però in una Roma forte che lotta ogni anno per lo scudetto e che compete in Champions League. Adesso pensiamo partita per partita, ma a lungo termine abbiamo un’ambizione più alta».
Quindi non si vede altrove? «A me piacerebbe crescere qui, vedo alcuni calciatori giovani qui come Zaniolo, Pellegrini, Ibanez, Mancini o che tra due-tre anni, quando saremo tutti più maturi, possono formare una squadra che lotta per vincere».
Con Fonseca? «Sì, non posso chiedere altro a lui, lo ringrazio per la fiducia che mi sta dando».
Quando ha capito che era vicina la svolta? «Sono arrivato a fine gennaio 2020, poi c’è stato il lockdown. È stata dura, non c’era la mia famiglia qui e sono rimasto dentro casa da solo due mesi. Quando è ripreso il campionato non giocavo mai, al massimo 7-8 minuti alla fine delle partite. Ma una delle qualità che mi riconosco è la forza mentale. Non mi sono mai allenato a testa bassa pensando che tanto non avrei giocato. Quindi è arrivato il mio momento e mi sono fatto trovare pronto per sfruttare l’occasione. Giocavo inizialmente solo in Europa League, ma volevo confrontarmi con la Serie A. Contro il Parma ho fatto una bella parttita e lì ho iniziato a pensare che il mister poteva ritenermi importante».
Come va l’università? «Studiare ti aiuta a livello mentale, abbiamo tanto tempo libero dopo l’allenamento. I miei genitori mi hanno sempre invitato a non pensare solo al calcio, senza di loro forse non lo avrei fatto. Non dico bugie, è difficile che un calciatore che gioca nella Roma trovi la voglia di mettersi a studiare piuttosto che sulla PlayStation e succede anche a me. Nel primo semestre avevamo sei esami, i primi sono andati bene, gli altri non tanto, ora vediamo i prossimi».
Anche suo fratello fa il centrocampista. Vi ritroverete insieme un giorno? «Sarebbe un sogno. Lui gioca davvero bene, ha 17 anni, tra due-tre anni diventerà forte. È un po’ come me, non perde mai la palla, dobbiamo chiedere a mio papà come ha fatto!».
La Roma è molto impegnata nel sociale.,, «Farlo in una città dove il legame tra la gente e la squadra è così forte è doppiamente importante e bello».
FONTE: Il Tempo – A. Austini