Da qualche settimana un inno parallelo emoziona i tifosi della Roma all’Olimpico. Nasce dall’amore di tifoso di Marco Conidi, che pubblicò “Mai sola mai” nel 2007 devolvendo l’incasso in beneficenza. La sua canzone è stata rilanciata nelle ultime settimane grazie al capitano, Lorenzo Pellegrini, che l’ha fatta ascoltare a Mourinho chiedendo che fosse diffusa dagli altoparlanti dello stadio prima delle partite. E prima dell’inno ufficiale di Venditti, che i tifosi domenica scorsa hanno cantato a cappella perché “oscurato” dai regolamenti della Lega. Conidi, presenza fissa all’Olimpico, si è commosso quando ha sentito i suoi versi urlati dalla gente.
Ci spiega cosa ha provato? «Qualcosa che soltanto a Roma puoi vivere. Le mie parole, i miei sentimenti, i miei tifosi. Indescrivibile. E non è una frase fatta».
L’aveva cantata anche qualche settimana fa alla cena della squadra… «Sì. Pensi che mi avvisarono alle 18.30 del giorno stesso. Chiamai un pianista e andai. Piano e voce. La cantavano tutti. Mourinho mi ha detto: “Come canti bene, amigo!”. Anche da questi dettagli capisci perché i giocatori si buttino nel fuoco per lui. Verrebbe voglia anche a me di dare una mano in campo: solo che poi mi ricoverano…».
Ai Friedkin hanno spiegato chi fosse Marco Conidi? «Certo. Ci siamo anche abbracciati alla fine. Il bello è che la mia fidanzata mi ha chiesto: “Chi sono quei signori?”. Ma è meglio così: amo questa presidenza così discreta ed efficiente. Non come quella di prima…».
Adesso la sua vita rischia di cambiare… «A questo non penso, non mi interessa. Ho già fatto la mia carriera, sono stato a Sanremo, ho fatto dei film. Ora stiamo facendo questo programma, “La nottataccia” su Raiplay: guardatelo, fa davvero ridere. Mi sono già tolto le mie soddisfazioni. Ciò che più mi gratifica del successo della canzone è lo sguardo delle persone, la condivisione di un amore».
Venditti, Fiorini e ora Conidi… «Non scherziamo. Sono cresciuto con gli inni di Antonello e Lando, non immagino minimamente di sostituirmi a loro. Ma certo è pazzesco sentire la mia canzone in mezzo a due pezzi storici della nostra vita».
Andiamo dentro alla canzone. Sognava davvero “di essere Agostino” quando era bambino? «Per chi è nato nella mia generazione e tifa Roma, è quasi automatico identificarsi con una figura del genere: un capitano educato e sensibile. E un esempio per noi timidi, che sul palcoscenico sanno tirar fuori la determinazione. L’attesa per la sua “bomba” era un attimo speciale per me».
Un altro verso dice che “ci sono stati giorni amari che avevo solamente te”. A cosa si riferiva? «Al periodo dell’adolescenza, che per tanti è un momento di transizione complicata. Quando giocava la Roma tutto passava in secondo piano. Io sono del Quadraro: metro, autobus e via allo stadio. Dove potevi essere un panettiere o un medico ma avevi lo stesso obiettivo e le stesse emozioni. Il calcio è una meraviglia sociologica, un collante incredibile». (…)
PER CONTINUARE A LEGGERE L’INTERVISTA CLICCARE QUI
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida