Si ritroveranno faccia a faccia dopo oltre dieci anni. Un periodo lungo dentro al quale per Gasperini e Mourinho sono successe tante cose. Tre difensori, due esterni “totali”, tre giocatori offensivi (non per forza punte pure), almeno altri due con la porta in testa: i principi, non immutabili, del calcio di Gasperini.
La linea a tre è il modulo di riferimento da sempre, come la libertà-dovere data ad uno dei centrali (oggi generalmente Toloi) di salire per appoggiare lo sviluppo del gioco e creare superiorità. L’atteggiamento tattico offensivo è dettato dalle caratteristiche dei giocatori scelti: un trequartista e due punte (facilmente larghe), due trequartisti e una punta centrale, oppure un tridente con esterni quasi sempre a piede invertito che a volte diventa anomalo, nel senso che uno dei due può essere una punta centrale che cerca l’area partendo da posizione più defilata.
È questa variabilità (di soluzioni e di posizione dei giocatori) la forza di Gasperini: ogni volta che ha annusato il rischio-prevedibilità, o si è trovato in emergenza (vedi 4-2-3-1, usato anche in corsa per un atteggiamento extra offensivo) il tecnico ha inventato accorgimenti nuovi.
La difesa a quattro è sempre stato il marchio di fabbrica, di Mourinho. O quasi sempre. Su quell’allineamento difensivo, però, ha costruito gran parte dei trionfi. E da lì, dal 4-2-3-1, è partito anche a Roma, tranne poi dover cambiare in corsa a causa dei tanti infortuni. Così nel buio di Venezia è nata un’altra Roma, con la difesa a tre e quel 3-5-2 che ha valorizzato alcuni giocatori e dato più equilibrio alla squadra. “Mi piace giocare a tre, ma non a cinque“, ha detto Mou.
Tradotto, va bene la difesa a tre, ma gli esterni devono essere due che vanno, che fluidificano. Ecco perché El Shaarawy era perfetto a sinistra ed ecco perché Karsdorp non riposa mai a destra. Con il 3-5-2, poi, Mou ha dato anche una spalla ad Abraham, facendolo così sentire meno solo davanti e togliendogli parte del peso e della responsabilità dell’attacco. E ha ridato nuova vita a Mkhitaryan, che da mezzala palleggia e distribuisce gioco, da trequartista esterno nel 4-2-3-1 era invece costretto a quei rientri difensivi che lo annebbiavano.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. Elefante / A. Pugliese