Non esiste valore più sacro della famiglia. José Mourinho non usa mai giri di parole. “Questa è una vittoria della famiglia, della famiglia in panchina e dello stadio. Questo è il nostro merito più grande, questa empatia, questo senso di famiglia”. Quando i Friedkin si ritrovarono tra le mani la Roma, capirono subito l’enorme potenziale del club, ma allo stesso tempo riuscirono a fiutare quale fosse il clima attorno alla squadra: “Riteniamo che la Roma sia un po’ come un gigante addormentato“.
I Friedkin hanno svegliato il gigante, tormentato dai suoi errori e dalla mancanza prolungata di vittorie, affidandolo alle cure dell’uomo che vive per la vittoria, che la considera una necessità e non un traguardo. Lo Special One ha avuto bisogno di tempo per comprendere cosa fosse la Roma, aiutato da remoto da “quel pazzo romanista” di Giovanni Cerra, un suo collaboratore che lo ha accompagnato in tante avventure. Ha avuto bisogno di toccare con mano il fiume d’amore che lo ha travolto sin dal primo giorno, ma nel viaggio ci sono state anche tappe a vuoto, cocenti delusioni che lo hanno fatto traballare. Il 6-1 con il Bodø/Glimt o i quattro gol subiti dalla Juventus all’Olimpico in una manciata di minuti.
L’input è stato chiaro: “Ho detto ai ragazzi che loro devono venire nella mia direzione, non sono io che devo andare verso di loro“. Così è stato, questo ha raccontato il campo. La timida e traballante creatura di inizio stagione ha lasciato il posto ad un gruppo di amici o di fratelli, pieni di difetti, con caratteri anche particolari, con battute d’arresto e momenti di confusione, ma con una voglia di mettere tutto in campo, come il dna del tecnico portoghese insegna. Lo Special One ha compreso poi quale potesse essere il tassello in grado di trasformare la sua squadra in un’armata invincibile: allargare la famiglia.
A suon di sold-out, il popolo romanista ha abbracciato la Roma, riuscendo in alcune occasioni a colmare le mancanze di una rosa che Mourinho ha demolito, ricompattato e ricostruito. “‘Mai sola mai’ piace ai giocatori? Mettiamola allo stadio“. La richiesta dopo il primo ascolto consigliato dal capitan Pellegrini. Stesso discorso “Roma Roma“: multe, scontri con la Lega, ma la partita dei decibel l’ha vinta ancora una volta lui. E ora si canta, fino alla fine, con le squadre in campo e gli avversari ammutoliti.
E ora si canta, fino alla fine, con le squadre in campo e gli avversari ammutoliti. Le corse a bordo campo, la tentazione di entrare in campo per scuotere i suoi, come fatto con Veretout, la capacità di ignorare i “capricci” dei figliocci, come fatto con Abraham che, stravolto dalla fatica, attendeva la sostituzione. José insegna, bastona, abbraccia e piange, come fa un padre di famiglia, come ha fatto appena compreso di aver riportato la Roma in una finale europea.
FONTE: La Repubblica – A. Di Carlo
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