Dorme poco la notte, come quando era calciatore. Anche senza l’ansia per la partita che si avvicina. Bruno Conti è così, a 67 anni non ha cambiato abitudini. Ha da poco firmato il rinnovo del contratto, praticamente si è legato alla Roma per sempre. Aveva 19 anni quando esordì con la maglia giallorossa in serie A.
Nei giorni in cui festeggia i quarant’anni dal Mundial il campione azzurro e giallorosso racconta emozioni indimenticabili vissute insieme a Bearzot e rilancia le ambizioni del club dei Friedkin:
Quella breve esperienza da allenatore, nel 2005, se la ricorda bene… “Bisognava metterci la faccia, per cercare di dare una sterzata alla squadra che dopo tre allenatori dimessi rischiava di retrocedere. Ricordo dopo una sconfitta a Parma, lo stress negli spogliatoio. Io non ho mai perso i capelli in vita mia, in quel periodo li persi. Sono pieno di tic da quando sono ragazzini, si moltiplicarono. Le sigarette non le contavo più. La vittoria di Bergamo fu una liberazione. Ci misi tutto me stesso, in un momento particolare. Il presidente Franco Sensi cominciava a star male, Rosella mi chiese di dare una mano. Puntai sul rapporto con i calciatori. Facevo parte del gruppo Lo feci per il della Roma. Poi abbiamo preso Spalletti, che ci diede una bambola ma in Coppa Italia passammo noi. Lo scegliemmo io e Pradè. Luciano è una grande persona, nel suo primo ciclo ci siamo divertiti. Sfiorammo lo scudetto, abbiamo vinto qualche coppa”.
Ha mantenuto buoni rapporti con Spalletti? “Sì, nel mondo del calcio è importante dirsi le cose in faccia, sempre con professionalità e rispetto”.
Il 25 maggio a Tirana da tifoso: una grande emozione… “Vincere la Coppa è stato importante, il giusto premio a questa proprietà che sta facendo un grandissimo lavoro. È stato fantastico vedere tanta gente che ha gioito per questa vittoria. La società ha invitato ex calciatori, magazzinieri, gli addetti ai cancelli. Un gesto esemplare, vedere da vicino la felicità di tante persone che da anni lavorano nell’ombra per la Roma è stata commovente. Non potrò mai dimenticare quella serata. La commozione di Aldair, Rizziettli, Antonello Venditti. E poi la felicità di un ragazzino, che ci segue dai tempi di Spalletti. Lo chiamiamo il “principino”, è costretto sulla sedia a rotelle. I giocatori gli hanno portato la coppa sotto la sua tribuna. Un gesto da brividi”.
La coppa l’ha alzata al cielo Lorenzo Pellegrini, uno dei tanti ragazzi che ha scoperto lei… “Lorenzo è cresciuto tanto. Questa società crede tanto nel settore giovanile, vuole portare avanti la nostra realtà. Lo ricordo piccolino, ha avuto una maturazione incredibile. A volte diamo giudizi affrettati, ma sui di lui non mi sbaglio: sta diventato un grandissimo capitano, è un ragazzo d’oro, tecnicamente e tatticamente è migliorato, ha trovato continuità. Ha una grandissima famiglia alle spalle. Lui, De Rossi, Florenzi, Aquilani. Per sfondare ci vuole bravura ma anche testa e lui ce l’ha. I padre è stato il suo primo allenatore, gli ha insegnato tante cose”.
Mourinho segue molto il settore giovanile. Va a vedere personalmente le partite… “Lo vedi a Trigoria dalla mattina alla segue, segue gli allenamenti anche degli Under 16. È una persona importante per questi ragazzi, per loro è toccare il cielo con un dito quando segue le loro partite. È un allenatore che ha portato la cultura del lavoro. Mourinho è un grande, ho un bel rapporto con lui, di stima e rispetto. Anche quando va via da Trigoria si ferma sempre con i bambini al cancello”.
Cosa prevede per la Roma? “Un futuro radioso. C’è una grande società, presente, che ci consente di lavorare in un certo modo. Anche con l’avvento di Vincenzo Vergine c’è la volontà di fare grandi cose. Possiamo fare un ottimo lavoro, ognuno nel suo ruolo”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. D’Ubaldo