Da predestinato a esiliato, cacciato, schifato. È la parabola di Nicolò Zaniolo. Per anni vestito con i panni da enfant prodige del calcio italiano, per poi ritrovarsi in quelli da ripudiato dal pallone che conta, cacciato dalla Roma, illuso dalla Juventus, sedotto e abbandonato dal Tottenham, corteggiato ma non troppo dal Milan, ignorato dalla Premier che conta, ambito solo dal Bournemouth, rifiutato perché io sono Zaniolo mica un Viña qualsiasi.
Il risultato è che per continuare a inseguire un pallone e, soprattutto, il se stesso che fu, è stato costretto a rifugiarsi a Istanbul, casa Galatasaray, periferia, con tutto il rispetto, del calcio di prima fascia, sperando di ripartire da lì per riconquistare quei riflettori che gradualmente da queste parti si stavano spengendo per colpe sue, del suo entourage, di scelte incomprensibili, unica attenuante un paio di crociati saltati che ne hanno frenato un’ascesa che sembrava essere irresistibile.
E invece è stata una discesa senza freni. Con i consiglieri incapaci di capire la realtà. Ma come si fa, per esempio, a dire no alla Premier, perché “Nicolò vuole un progetto più coerente con le sue ambizioni?”, per poi, una volta preso atto che la proprietà giallorossa lo aveva ripudiato, scappare in Turchia (un abbraccio a tutto il popolo turco)? E poi, quali ambizioni? Quelle di un giocatore che da un campionato e mezzo stava inseguendo se stesso, incapace di essere semplicemente un calciatore, figurarsi il campione che gli avevano detto di essere.
Per certi versi è stato un quasi suicidio assistito. Ecco, ora toccherà a Zaniolo aggrapparsi a quel quasi ricostruirsi. Glielo auguriamo. Ma faccia di testa sua, forse solo così riuscirà a ritrovare Nicolò che poi è l’unica cosa che conta.
FONTE: La Repubblica – P. Torri