C’era una volta un Capitano. Romano e romanista come Di Bartolomei, Giannini, Totti, De Rossi. Dopo il flop Florenzi, la storia sembrava destinata a rigenerarsi con la promozione di Lorenzo Pellegrini, tutta la trafila nelle giovanili, il prestito al Sassuolo per vedere l’effetto che fa, la Nazionale, il ritorno a casa, le conferme in campo, un gol di tacco in un derby che è ancora nella memoria di qualsiasi tifoso, la fascia di Capitano, l’incoronazione di un signore di Setubal, “se avessi tre Pellegrini giocherebbero tutti e tre”, un prima stagione con Mou da protagonista assoluto, anche se questo sembra che se lo siano dimenticato quasi tutti.
Non è più così. Da tempo. Ultimo episodio giovedì sera, l’inutile partita contro gli sceriffi della Transnistria. Il Capitano in panchina per tutti i novanta minuti, magari per carità per preservarlo in vista della sfida con il Bologna. Ma resta il fatto che ha visto da seduto l’esordio di Pisilli e Mannini.
Ha fatto un certo effetto vedere Pellegrini in panchina, circondato da un manipolo di bambini, così li chiama Mou, applaudire le lacrime di Pisilli dopo il gol, lo sguardo malinconico probabilmente alleviato solo dalla certezza che non avrebbe risentito i fischi che i tifosi gli avevano riservato in occasione della sua ultima apparizione casalinga.
Fischi conseguenza di un prolungato periodo in cui il Capitano, tra un infortunio e l’altro, ha fatto sempre più fatica a confermarsi sui livelli che ne avevano certificato una qualità sopra la media.
io sto con Pellegrini. Intanto perché è il Capitano della Roma. Ma soprattutto perché sono convinto che il giocatore che abbiamo visto e applaudito nella prima stagione mourinhana da qualche parte c’è ancora. Con la sua qualità, con i suoi gol, con la capacità di essere leader. Con il pregio di metterci sempre la faccia come fa un Capitano.
FONTE: La Repubblica – P. Torri