(…) Perché quello che Daniele De Rossi ha seminato in campo da giocatore, adesso può raccoglierlo adesso da allenatore, cercando di tirare fuori il meglio da diversi calciatori con i quali ha condiviso il campo in tempi recenti.
In primis da Bryan Cristante. Pedina inamovibile per ogni allenatore, divenuto uno dei fedelissimi di José Mourinho. Nel giorno del suo addio alla Roma, De Rossi disse: «Bryan non è romanista ma di giocatori come lui ne vorrei cento». Proverà a farsene bastare uno, trovandogli spazio all’interno del suo scacchiere tattico.
E nello stesso reparto c’è poi Leandro Paredes, il “primo” 16 a raccogliere l’eredità di Daniele in campo. La chiamata in estate per chiedere il permesso di scegliere proprio quel numero, la benedizione immediata dall’altra parte della cornetta (Su Instagram scrisse: “Questo numero sembra dipinto su di te”). (…) Un 16 in campo, l’altro in panchina, a guidarlo, chiedendogli di prendere per mano la Roma nel cuore del campo, com’era solito fare lui.
Non solo ex compagni di reparto: uno degli abbracci più sentiti c’è stato con El Shaarawy. Rapporto sincero, schietto, il Faraone ha sempre avuto un debole per quel capitano grintoso. Fu proprio lui a filmare, di nascosto, l’ultimo discorso di De Rossi negli spogliatoi dell’Olimpico, con il celebre “Per chi ho corso, per chi ho lottato, per chi son morto? ROMA”, divenuto celebre e virale in pochissimo tempo.
Quel giorno lì ci fu un passaggio di consegne simbolico con l’attuale capitano, Lorenzo Pellegrini. I due si ritrovano a distanza di quattro anni, più cresciuti ma sempre molto uniti. Un legame che sarà un fattore chiave in questi primi momenti del nuovo corso tecnico.
Infine c’è Karsdorp, compagno di squadra per diverse stagioni: lo ritrova carico e motivato per riprendersi la titolarità sulla fascia destra. Con Spinazzola e Belotti ha condiviso un Europeo vinto, nulla in giallorosso. Ma c’è sempre tempo.
FONTE: Il Romanista