Le voci sulla vendita della As Roma ricorrono. Sicuramente a un ritmo maggiore rispetto a quello delle smentite di rito che arrivano dai vertici e aziendali e mai direttamente dalla famiglia Friedkin. Sono solo indiscrezioni incontrollate e rumors strumentali oppure il tradizionale ‘silenzio’ degli imprenditori americani serve a coprire un’operazione che si sta delineando? Due diverse fonti riferiscono dell’interesse concreto di un fondo arabo, ovviamente provvisto di importante liquidità. Altre fonti assicurano, invece, che i Friedkin siano impegnati in un’operazione di ristrutturazione e rilancio che non prevede l’opzione di un disimpegno.
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Sul piano societario, sono invece diversi i fattori che possono alimentare dubbi sulle reali intenzioni dei Friedkin di proseguire la loro avventura romana. L’operazione che dovrebbe ormai portare all’acquisizione dell’Everton, la seconda squadra di Liverpool che milita in Premier League, può distogliere energie finanziarie e attenzione dal progetto Roma. Questo, perché Roma ed Everton sono simili per dimensione calcistica e la convivenza all’interno dello stesso portafoglio di investimenti, insieme al Cannes che gioca nella serie B francese, potrebbe imporre la scelta di privilegiare uno dei due club come riferimento.
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Ma ci sono altri segnali da interpretare. I tagli al personale, la chiusura degli uffici dell’Eur e il conseguente spostamento di tutti i dipendenti a Trigoria, l’incertezza sui rinnovi di contratto di diverse figure manageriali apicali sono argomenti che possono sostenere la tesi di chi prospetta un disimpegno.
L’altro capitolo da considerare è quello della comunicazione. L’ultima smentita ufficiale rispetto all’ipotesi cessione è quella affidata un mese fa a Souloukou: “Grazie agli investimenti e all’impegno a lungo termine della famiglia Friedkin, la Roma punta a occupare una posizione sempre più rilevante nell’elite del calcio europeo e italiano”. Poco, anche rispetto alla quantità di indiscrezioni che continuano a circolare. La scelta di affidarsi sempre e comunque alla ‘strategia del silenzio’ può funzionare quando i percorsi sono lineari, i risultati soddisfacenti e la prospettiva di sviluppo è chiara. Al contrario, quando vanno gestite fasi di trasformazione, come è evidente che sia quella in atto, parlare potrebbe portare un beneficio. A meno che, come sostiene chi vede vicina una cessione, il silenzio non sia funzionale alla strategia complessiva.
FONTE: adnkronos.com