Doveva essere la festa di Dybala, è stato il trionfo dell’umiltà. Perché a far festa non è stato Paulo, la Roma, i quasi 68mila dell’Olimpico ma piuttosto il piccolo Empoli di Sullo (D’Aversa out per squalifica), una squadra che appena ha capito che il gigante è tornato ad addormentarsi e non faceva poi paura più di tanto, se l’è giocata al pieno delle sue possibilità. E la Roma? Tutta da rivedere, perché se Cagliari poteva essere stato un passaggio a vuoto, l’Empoli è già un primo campanello d’allarme.
L’impressione è di una squadra in costruzione, è vero, ma che non riesce a fare passi avanti. E che finora, tra amichevoli e partite ufficiali, ha vinto solo con Latina e Barnsley. L’esperimento di schierare insieme Dybala e Soulé dietro la punta (Dvbyk) dura poco. Anche perché Soulé a sinistra ha un repertorio di giocate dimezzato e va spesso a cercarsi la linea esterna a destra.
Così i due argentini finiscono spesso vicini, anche per provare ad aumentare la qualità delle giocate, con Dybala che però sceglie presto di fare il regista a tutto campo per non pestarsi i piedi con Matias, proprio mentre Pellegrini va ad occupare lo spazio a sinistra. Di fatto un 3-1 offensivo, che però regala poche gioie alla Roma.
Così plan piano la squadra di Sullo capisce che il potenziale di fuoco giallorosso spara a salve e allora si può anche cambiare volto al destino. Fazzini diventa un gigante che nessuno riesce ad arginare. Gyasi e Colombo si divorano entrambi il vantaggio a porta vuota di testa senza riuscire neanche a capire come. Più in generale in campo c’è la sensazione di una squadra con un’anima (l’Empoll) e una senza, la Roma.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. Pugliese