Sfigurato, frastornato, amareggiato e deluso. Al fischio finale De Rossi ha lo sguardo perso nel vuoto. Vorrebbe andarsene a casa, non parlare con nessuno, sfogare la sua rabbia. E invece è costretto a presentarsi davanti alle tv e a vestire i panni del parafulmine. Sì, perché dopo due errori gravi dell’arbitro Giua (rigore non concesso a Dybala e punizione non fischiata a Pellegrini dalla quale nasce l’1-1 del Genoa) ci si aspetterebbe un rappresentante della società ad affiancarlo. E invece eccolo là Daniele, solo. Come al solito. Anche in un momento palesemente difficile.
Così quando gli vengono ricordate le parole dell’amico Totti (“Daniele è il parafulmine e rischia di fare la fine di Mourinho”) rilasciate a Il Messaggero, abbozza un sorriso amaro che somiglia ad un ringhio di un animale in gabbia: “Non so cosa intendesse e non ci siamo sentiti dopo l’intervista. L’ho letta ovviamente. Gli allenatori bene o male sono un po’ tutti in un ruolo simile ad un parafulmine. Siamo responsabili di quello che accade. Sono stato preso in un momento difficile della Roma dal punto di vista ambientale per quello che rappresentavo e rappresento come ex giocatore e poi penso di essermi meritato di restare. Se fare la fine di Mourinho vuol dire essere mandato via perché i risultati non arrivano penso che il mio destino sia lo stesso di tutti gli altri allenatori”.
Dribbla la questione. Perché quello che voleva dire Francesco quando ha utilizzato il termine “parafulmine” lo ha capito benissimo. Ma non c’è modo di farlo sbottonare ulteriormente: “Lo sapete che anche io darei un braccio per Francesco, ma va chiesto a lui cosa intendesse. Lo ripeto, tutti gli allenatori sono un po’ dei parafulmini, sono i primi responsabili anche quando magari ci sono tante cose insieme che rendono una squadra più o meno grande, ma il primo a pagare è sempre l’allenatore”.
Non affonda il colpo. Anche perché è consapevole che quando in classifica hai 3 punti in 4 gare, sei in difetto. Inutile cercare alibi, che ce ne sono. Anche ieri, ad esempio, la direzione di gara di Giua è stata a dir poco penalizzante. DDR, però, non cerca scuse: “Dovrei rivedere tutto quanto. Al quarto uomo ho detto che mi sembrava rigore su Dybala. Se però parlo dell’arbitraggio sembra come se abbiamo buttato i punti per colpa del direttore di gara. E invece non si può prendere gol dentro l’area piccola in questa situazione. Fa male”. Gli fa onore. Anche se poi c’è quel mercato, che Totti ha «capito poco» e che ha definito un “miscuglio” che per gli oltre 100 milioni spesi deve portare in Champions, pena “il fallimento”.
Anche in questo caso, Daniele prova a parare i colpi: “Abbiamo fatto un mercato importante per il nostro progetto di ripartenza, sono convinto che ci giocheremo le nostre carte fino all’ultimo. Dobbiamo lottare per la Champions. Il sesto posto inizia a stancarci. L’obiettivo è quindi la Champions, ma da lì a dire fallimento se non ci si arriva è un altro discorso dato che ci sono tante squadre forti. La corsa è abbastanza equilibrata”. A patto che la Roma cresca.
La metamorfosi della ripresa, dopo aver dominato il primo tempo, è incomprensibile: “Ci siamo abbassati troppo, non l’ho chiesto io, e abbiamo smesso di ripartire. Dovevamo raddoppiare. Troppi errori tecnici e qualche superficialità di troppo ha fatto poi il resto. Sul gol subito non hanno funzionato le marcature. Alcune palle vanno spazzate via. Cambi conservativi? Le sostituzioni le fai in base a chi hai fuori. Come quinto avrei potuto mettere Dahl o Soulé mentre invece volevo dare maggiore struttura. Il cambio di Saelemaekers è stato per infortunio, mentre Celik ha preso il posto di El Shaarawy perché non pensavo avesse 90 minuti nelle gambe. Pisilli era ammonito e aveva perso le ultime due palle, quindi era un avvicendamento normale”. Meno normale sono i tre punti in quattro gare. E Daniele è il primo a saperlo.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina