Una settimana lunga un secolo. Dall’Udinese al Venezia, Lorenzo Pellegrini ha assaggiato un piatto unico di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Fischi, soltanto fischi, fischi e basta. Da parte del pubblico di casa. Il suo pubblico, Fischi preventivi e indipendenti dall’andamento delle due partite, estremamente diverse fra loro.(…)
Almeno fino a quando la Curva Sud non ha cominciato a cantare, seppellendo il fastidioso rumore di fondo. Sì, perché il trattamento non proprio di favore è stato riservato al Capitano da tre quarti di stadio, non dal settore più caldo del tifo, che anzi si è espresso con uno striscione eloquente: «Fischiare a gara in corso significa fare il male della nostra maglia. Tifiamo la Roma, sosteniamola in ogni battaglia»
Un concetto basilare per chi intende il sostegno in un certo modo, ma evidentemente non assimilato da tutti coloro che hanno individuato in Pellegrini e Cristante i bersagli principali – se non esclusivi – della contestazione. Cosa si possa rimproverare ai due non è chiaro: se è questione di rendimento, non si comprende perché siano stati risparmiati altri giocatori che certo non stanno brillando; viceversa, se non si nutre stima tecnica nei loro confronti (opinione legittima come tutte le altre), non ci si dovrebbe attendere chissà quali prestazioni altisonanti; se invece il problema è la loro titolarità, bisognerebbe indirizzare il dissenso verso chi li schiera (ma si tratta di almeno sei allenatori romanisti e due ct della Nazionale differenti, qualche ragione ci sarà).
Frammentari indizi sulle motivazioni arriva dai social: i due sarebbero stati individuati come principali responsabili dell’esonero di De Rossi. A supporto della “mirabile” tesi – udite udite – un messaggio whatsapp mandato da chissà chi e diventato in breve virale, in cui il cosiddetto “beninformato” sostiene pressappoco che la-sorella-del-cognato-della-zia-del-suocero-del-nipote-e-via-discorrendo di un fantomatico fornaio, avrebbe avuto la “dritta” nientepopodimeno che da Ghisolfi (sic). A parte la genesi della fonte e la diffusione della presuntissima notizia – risibili se non fossero deprimenti – sarebbero bastate le parole pubbliche dello stesso DDR alla vigilia della sua ultima panchina in giallorosso e quelle di Juric al debutto a demolire il tragicomico teorema. (…)
Ne sanno qualcosa i predecessori di Pellegrini con la fascia al braccio, come lui romani e romanisti e come lui costretti a ingoiare i bocconi amari dell’avversione dei propri tifosi. Negli ultimi cinquant’anni è toccato a tutti, senza eccezioni. Fu aggredito fisicamente alla stazione Termini perfino un giovane Agostino Di Bartolomei, di ritorno da una trasferta a Torino e prima di un derby. Oggi Ago è una leggenda indiscussa della storia della Roma, ma a fine Anni 70 una fetta consistente di pubblico – eccetto la Sud che da sempre tende a tutelare i gioielli fatti in casa – non gli perdonava il sovvertimento delle gerarchie con Cordova, amatissimo fino al passaggio sull’altra sponda.
Anni più tardi fu Giuseppe Giannini a finire nelle mire di parte della tifoseria. Quel numero 10 sulle spalle e l’eredità della leadership tecnica da un marziano come Falcao non gli hanno certo giovato. Ma un vero e proprio feeling fra il Principe e il proprio popolo non è mai sbocciato, nonostante il suo indiscutibile romanismo. Il rigore sbagliato nel derby del 6 marzo 1994 sancisce un’altra crepa nel suo rapporto con la squadra del cuore: il presidente Sensi si scaglia contro di lui, la gente chiede a gran voce un “dieci” in grado di accendere la fantasia alla Baggio o alla Mancini. (…)
FONTE: Il Romanista – F. Pastore