Una vittoria importante, non certo bestiale, come la desiderava Juric. La Roma non è una bestia, e tanto meno è bella. E’ ancora monocorde, piatta, ma stavolta è stata sul pezzo, più concentrata, provando a essere squadra, sopra ogni difetto strutturale. Il successo con la Dinamo Kiev c’è e va archiviato con gioia, ma quella mentalità, il cambio di registro auspicato dal tecnico croato alla vigilia, ancora non si vedono.
La vittoria, dunque, non emoziona, né tranquillizza in vista del futuro, ma Juric se la deve godere fino in fondo e ripartire da qui, nonostante i consueti fischi che hanno colto i soliti Pellegrini, Cristante e sì, pure Juric stesso: ma l’abbraccio finale del tecnico a tutti i calciatori (dando loro pure qualche rudimento tattico), è la foto della speranza. Del resto, quella con la Dinamo è pur sempre una vittoria, e in questi tempi cupi c’è poco da fare gli schizzinosi: la Roma, con questi tre punti, i primi in Coppa, intanto si rimette in corsa per arrivare – dopo la prima fase – tra le prime 24 in Europa League e mette un piccolo tappo alla crisi, che non è definitivamente alle spalle. E respira.
In attesa del test di domenica a Firenze: la Viola non è la Dinamo Kiev, al Franchi servirà qualcosa di diverso, più energia. Lo sa anche, e soprattutto Juric, che può festeggiare il suo primo successo europeo dopo un’esperienza di appena tre partite, avendo ancora tanto da chiedere al gruppo, che appare addormentato sui suoi limiti caratteriali e i difetti tecnici.
La Roma lascia la Dinamo a zero punti, per una rete di Dovbyk. Il resto è il solito spartito, che conosciamo ormai da un po’: i giallorossi vanno ad andamento lento e si dimostrano ancora poco cattivi (per usare un altro termine di Juric) sotto porta, i tiri nello specchio alla fine saranno solo cinque (rigore a parte, nessuno pericoloso) contro i due degli ucraini (in totale, 17 a 7).
Questo non è servito a chiudere il conto prima del previsto, la squadra di Shovkovskyi è stata in partita fino alla fine ed è questo uno dei limiti (di mentalità) più grossi della squadra di Juric, capace di subire qualche iniziativa di troppo da un avversario modesto e con poche ambizioni.
I giallorossi non hanno brillato, ma nel complesso hanno meritato, pur rischiano di subire il solito gol. Almeno, questo è l’aspetto positivo: alla fine non sono arrivati quegli errori che hanno condannato la squadra nel recente passato, vedi Monza e l’ultima contro l’Inter.
Juric è costretto a far riposare qualche big, da Pellegrini a Dybala e Cristante, chiamati in causa solo nella ripresa. Ancora una volta, non è il momento per Mats Hummels, inquadrato in panchina, un po’ imbronciato. Del resto, ormai non capisce più nemmeno lui: deve stare proprio a pezzi, oppure paga qualche uscita infelice sui social. Chissà.
La squadra viaggia – per forza – anche senza il tedesco: Juric insiste su Zalewski, stavolta dirottato a destra, e Celik, che gli copre le spalle nel terzetto dei difensori, completato da capitan (fino all’ingresso di Cristante) Ndicka ed Hermoso. Si nota l’assenza di un regista vero, in mezzo si punta sul dinamismo, con la coppia Koné-Le Fée (uno dei migliori), mentre Pisilli si agita (a volte correndo a vuoto), con Baldanzi, dietro il sempre-presente, stanco e senza un’alternativa alla sua altezza, Dovbyk, che di mestiere fa il goleador e timbra anche stavolta, su calcio di rigore (procurato proprio da Baldanzi): Artem è il primo giocatore ucraino a segnare un gol contro una formazione del suo paese in Europa League.
Una rete che arriva al minuto 23 del primo tempo e quello è il primo tiro in porta della Roma, accompagnato da una mezza girata, innocua, di Ndicka. Il gioco non decolla, ma la differenza la fa il tasso tecnico (netto il possesso a vantaggio della Roma) e un pizzico di fortuna, visto che la Dinamo Kiev sfiora anche il pari, prima con Guerrero (reattivo Svilar nella respinta) e poi con Tymchyk (che calcia fuori di un nulla).
La Roma è una squadra costruita non benissimo e, in assenza di un calcio esaltante, la differenza la fanno sempre i giocatori di maggiore qualità. Quando entrano Pellegrini e Dybala si nota qualche giocata in più. Da un loro duetto, spunta l’azione più clamorosa del match, con un colpo di Paulo che smarca Shomurodov davanti a Neshheret. L’uzbeko calcia fuori a porta spalancata. Mykhaylenko fa venire i brividi a Svilar, uscito male su un calcio d’angolo, e sfiora il pareggio. Che stavolta non arriva.
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni