L’ultima vittoria fuori dal territorio italiano, più di un anno fa, è stata vidimata da un attaccante belga, Lukaku. Due allenatori dopo, proprio in Belgio,la Roma prova a sospendere i giudizi su una stagione dissennata per restare incollata all’Europa League. Non c’è molto da ragionare. Risalire la classifica, e quindi battere l’Union Saint-Gilloise, è praticamente un must anche per una squadra fragile e confusa, che tra l’altro in trasferta è in serie negativa da 11 partite, cioè sette mesi. Servono tre punti allora, senza pensare ad altro. L’inizio lento che tiene a distanza le prime posizioni del maxi girone mette a rischio anche la qualificazione ai playoff. Sarebbe un fallimento insopportabile eclissarsi così presto dal consesso internazionale, grande vanto delle ultime stagioni.
Ma il viaggio nel cuore del continente, dove le nuvole sono così basse da oscurare l’atterraggio fino agli ultimi metri di volo, va vissuto come un’occasione e non come un rischio. L’instabilità societaria e tecnica non può essere una scusa. Sarebbe troppo comodo lasciar credere ai giocatori, in considerazione della precarietà del momento, di non poter vincere contro l’Union. Non è così. L’avversario sta andando molto peggio della Roma: è decimo in campionato e ha raccolto solo un punto in Europa League pareggiando 0-0 contro il ben noto Bodø.
Fatica tantissimo a segnare – da questo punto di vista i problemi delle due squadre sono analoghi – tanto che l’allenatore Pocognoli, ex difensore dai nonni italiani, ha appena introdotto nello staff l’amico Mirallas, già attaccante della nazionale, per spiegare ai giocatori come si tiri in porta. Chissà se i collaboratori di Ivan Juric, abituato a camminare sul bordo di un precipizio che si sgretola ogni giorno di più, sapranno migliorare in fretta la mira di un gruppo che, a parte Dovbyk, per inquadrare il bersaglio deve tentare in media circa 15 conclusioni.
A Verona, in verità, i problemi sono stati soprattutto di tenuta difensiva a conferma di una rosa che ancora non si è adattata ai princìpi di Juric. Nessuno rema contro, per fortuna. C’è solo una difficoltà strutturale che sarà complicato sistemare. Sarebbe interessante chiedere ai Friedkin due cose, tra le tante: 1) se abbiano votato Donald Trump; 2) cosa abbiano pensato di stravolgere allontanando De Rossi dopo quattro partite. Intanto, i presidenti sono attesi a Trigoria nelle prossime ore dopo il lungo tour tra Creta e Tanzania per programmare una svolta.
Occhio: a Roma non si vedono da metà settembre, quando cambiarono allenatore. E anche a gennaio si scomodarono per comunicare dal vivo a Mourinho che la storia era finita. Questo non è un messaggio di incoraggiamento per Juric, che ha fiutato l’aria con intelligenza: nella conferenza stampa di vigilia si è lasciato scappare una frase (“E’ tutto chiaro, non c’è bisogno di indagare troppo”) accompagnata da una risata autoironica. E’ lui il primo a sapere di dover vincere sia a Bruxelles sia domenica contro il Bologna per salvare la panchina. Sempre che basti.
Si gioca allo stadio intitolato a Re Baldovino, perché l’impianto dell’Union è troppo piccolo per i parametri imposti dall’Uefa. Per noi italiani sarà sempre il vecchio Heysel, dove 39 persone persero la vita in un’assurda notte del 1985. C’è un monumento alla memoria, su un muro, con tutti i nomi delle vittime. Mentre l’inverno sembra mordere Bruxelles con la fretta di divorarla, la passeggiata serale sulla pista d’atletica nel silenzio assoluto è un brivido di commozione.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida