Per (provare a) capire Lorenzo Pellegrini, bisogna prima comprendere quello che non è. Non è un egocentrico, non è un bugiardo, non è un manipolatore. È testardo, timido e introverso, quello sì, a volte anche molto ingenuo. Lorenzo, però, è soprattutto uno che sa giocare a pallone. Perché anche i suoi detrattori, quelli che “guadagna 6 milioni e nun se move” o di “Capitan stringi i denti”, sanno che nella Roma – che la società ritiene si sia rinforzata in modo significativo dopo il mercato estivo – la qualità ha il volto di Dybala e il suo.
E se qualcuno avanza obiezioni, chieda a Gasperini. Un signore di 67 anni che non regala niente a nessuno. In primis a Lorenzo con il quale è stato chiaro, privatamente e pubblicamente: sei forte ma devi diventare un atleta. Che per un calciatore, non è proprio un complimento. Pellegrini, alla prima occasione, ha risposto: gol e corsa.
In carriera ha segnato quasi come una seconda punta, ma non vale. Perché nella nuova tipologia dei tifosi commercialisti, conta quanto guadagni. Un po’ il discorso che si inizia a fare per Dybala. Lorenzo, poi, ha l’aggravante di essere romano. Si, aggravante. Perché se non sei Totti, e di Totti in 98 anni di storia ce n’è stato uno, prima o poi nel tritacarne ci finisce chiunque.
Il vero problema, al di là delle prestazioni, dei soldi guadagnati e delle precarie condizioni fisiche che lo hanno accompagnato in queste ultime stagioni, è che a Lorenzo viene imputato l’esonero di Mourinho. Chi si illude che il gol di ieri possa cambiare qualcosa, si sbaglia di grosso. Lorenzo è il primo a saperlo. Nemmeno le lacrime, la commozione, le sue parole a fine partita cambieranno qualcosa. Perché chi lo apprezza, lo apprezzava anche prima di ieri e continuerà a farlo anche domani. Così come chi lo detesta. Basterà il primo passaggio sbagliato a Roma-Verona per ricominciare a sentire di nuovo la litania «Hai visto, gioca solo nel derby, ora ci camperà di rendita per un’altra stagione».
Aver alzato la Conference (ed esser stato premiato come miglior calciatore della competizione) non conta. Quella l’ha vinta Mou. Lui è solo il capitano dei sesti posti. Anzi ex capitano. Per un giorno, però, grazie al derby, si è ripreso la scena. Ora dipende (non solo) da lui, non finire di nuovo dietro la lavagna.
FONTE: Il Messaggero











