Ci dev’essere qualcosa di profondamente romantico intorno al 16. Il numero di Daniele De Rossi che sarà «il punto di riferimento», il numero di anni trascorsi dal 2001 – l’anno dello scudetto e della prima partenza da Trigoria –, il numero delle volte che Eusebio Di Francesco, nuovo allenatore della Roma, pronuncia la parola lavoro, in tutte le due declinazioni, il vocabolo in assoluto più ripetuto nei primi 39 minuti di conferenze stampa giallorosse. È un mantra, è il segno riconoscibile di un’aria nuova, meno masticata, meno travolta dei pregiudizi, più genuina se genuina – molto più del megafono del predecessore – è parsa davvero l’emozione del tecnico. «So che nel calcio c’è sempre fretta, ma il lavoro – eccoci qui – sarà determinante e io ho il desiderio di concentrarmi sul campo. Voglio trasmettere entusiasmo, essere sincero e vicino alla gente. E poi ovviamente voglio fare risultati, se possibile facendo divertire».
BEL GIOCO – Eusebio sbarca con 4 uomini: il vice Tomei, il preparatore Vizoco, i collaboratori Romano e Pierini. È il ritratto di uomo sereno. Sarà per quel prefisso greco – eu – che «bene» vuol dire e bene, evidentemente, vuole mostrarsi. «La Roma è una squadra molto competitiva, che ha dimostrato di essere un top club. Per me è un’occasione unica, proverò a portare un grande senso di appartenenza a questa maglia. C’è bisogno di lavorare sodo, questa squadra ha battuto record e in casa ha avuto pure il capocannoniere. Per raggiungere un traguardo importante però c’è bisogno di fare di più. Roma sarà pure un ambiente difficile, ma io sono pronto per la sfida. Obiettivi? Niente proclami, ma conosco le speranze dei tifosi. Noi viviamo di speranze e di concretezza: l’entusiasmo è la base, poi ci toglieremo grandi soddisfazioni». Nell’attesa… «profilo basso e lavoro, vale a dire umiltà, i giocatori dovranno avere una grandissima disponibilità nei miei confronti e di quelli che lavorano per far diventare grande la Roma». È una richiesta di complicità allo spogliatoio che verrà. Intanto il riferimento numero uno è chiaro: «La prima persona che ho chiamato appena trovato l’accordo con la Roma è stato De Rossi. Lui è l’emblema, è anche l’idolo di mio figlio (anche Spalletti citò il figlio nella prima conferenza, ndr). Va preso come esempio, è il primo ad abbracciare un compagno: sarà il mio punto di riferimento, a prescindere se giocherà titolare o meno». Anche perché l’altro riferimento, Francesco Totti, non ci sarà più: «La società ha parlato con Francesco ed è in attesa di una sua risposta. Io ho un legame particolare con lui, sarei molto contento di averlo vicino a me in un’altra veste, con un ruolo dirigenziale. Dovrà sceglierlo lui, è abbastanza grande per farlo».
BERARDI E RADJA – Abbastanza grande è pure Domenico Berardi, che – non è un mistero – è in cima alla lista Roma per sostituire il partente Salah. «È un ottimo calciatore, l’ho visto crescere, ha grandissimi mezzi. Non vuol dire che sia un nostro obiettivo, è di sicuro un giocatore di altissimo profilo al quale sono legato». Anche perché il piano di lavoro è ambizioso. «Io aziendalista? Tutte le scelte, compresa quella di Moreno, sono pienamente condivise tra me e Monchi. Qui non esistono entità distinte, qui si lavora tutti insieme per il bene della Roma. E insieme cercheremo di mettere su una squadra molto forte. Vero direttò?». E lo sguardo, finalmente meno tirato e più sorridente, vola verso Monchi. «Ho sempre cercato di dominare le partite, la base di partenza sarà il 4-3-3. Così Nainggolan non sarà trequartista? Da mezzala può fare anche 18 gol. Voglio dire che sono stato scelto per il mio tipo di calcio ed è giusto che io trasmetta quello ai giocatori, non altro». In quel calcio Pellegrini ci sta perfettamente: «Ha avuto una crescita impressionante, ci stiamo lavorando». E ancora, sui singoli: «Strootman è un giocatore trascinante, un capitano in campo. Voglio allenare Florenzi prima di decidere sul suo ruolo, ma sono abituato a lavorare sulla specificità dei ruoli». Lavorare, sedicesima volta. Titoli di coda.