Se la Roma avesse giocato sabato sera a Genova contro la Sampdoria, probabilmente Eusebio Di Francesco avrebbe messo mano alla rosa e a fare un po’ di turnover: Gonalons, Pellegrini ed El Shaarawy erano in lizza per una maglia da titolare. Il mancato impegno, invece, oltre a garantire due giorni di lavoro in più, anche se ieri a causa del violento nubifragio che si è abbattuto su Trigoria la squadra ha lavorato soprattutto in palestra e Di Francesco ha approfittato per mostrare dei video, ha rimesso tutti sullo stesso piano. Per questo domani sera contro l’Atletico Madrid all’Olimpico – 33 mila i tagliandi venduti finora, compresi i mini abbonamenti – molto probabilmente toccherà agli undici che in questo momento possono considerarsi titolari, e che hanno vinto all’esordio in campionato a Bergamo.
L’unico dubbio riguarda chi, tra Bruno Peres che ha recuperato dal problema muscolare accusato dopo la gara con l’Atalanta, e Florenzi, pure lui di nuovo disponibile e con una gran voglia di tornare in campo dopo dieci mesi di assenza forzata, giocherà esterno sulla destra in difesa. Per il resto, in attesa di Schick, davanti toccherà ancora a Dzeko, Perotti e Defrel. A centrocampo ci saranno De Rossi, Nainggolan e Strootman, che oggi sarà in conferenza stampa insieme a Di Francesco e che non ha mai giocato titolare con la Roma nei gironi di Champions, mentre in difesa spazio a Kolarov, Manolas e Juan Jesus.
In porta ci sarà il brasiliano Alisson, che lo scorso anno era il portiere di coppa e quest’anno è il titolare indiscusso della porta romanista. Una condizione necessaria per rimanere in giallorosso, come lui stesso ha raccontato al portale brasiliano «Folha». «Se non avessi avuto la certezza di giocare – le sue parole – avrei chiesto di lasciare la Roma perché questo è l’anno più importante della mia carriera. Nella passata stagione giocavo poco per scelta di Spalletti: sono un ragazzo tranquillo e non mi sentivo a mio agio ad andargli a dire delle cose perché lui aveva scelto di avere due portieri di alto livello e mi faceva giocare nelle coppe. Diciamo che ho imparato ad avere un po’ di pazienza».