Una stagione a Roma da calciatore, 1966-1967: buona per fare l’esordio in Serie A, segnare il primo gol ufficiale e diventare un calciatore affermato, oltre che un uomo maturo. Pochi mesi da allenatore dello Shakhtar Donetsk, nel 2002, utili per vincere il campionato ucraino per la prima volta e restare nella storia del club: “Per noi fu un’impresa. Conquistammo anche la coppa nazionale. Un’impresa che decisero di omaggiare con una gigantografia del sottoscritto nel loro stadio”. A Nevio Scala – anno 1947 – una partita come Roma-Shakhtar Donetsk non potrà mai essere come tante altre. Questo ha deciso l’urna di Nyon per i giallorossi in settimana. Se ne parlerà a febbraio, quando si giocheranno gli ottavi di finale di Champions League, però l’ex allenatore di Parma, Borussia Dortmund, Besiktas e Spartak Mosca mette subito in guardia la squadra di Di Francesco: “Posso suggerirle un titolo per questa sfida?”.
Un titolo? “Sì, forse non originalissimo, ma che dà il senso della difficoltà del match: “Roma, stai attenta”.
A cosa dovrà stare attenta la Roma? “Conosco bene lo Shakhtar Donetsk e le dinamiche della società. Loro sono fortissimi in casa, la Roma dovrà tenere botta nella gara di andata dato che giocherà proprio in Ucraina. È un club organizzato, che ha vinto titoli anche una Coppa UEFA con Lucescu a livello internazionale. Sia chiaro, non parliamo di Real Madrid o Bayern Monaco, ma comunque di un avversario di tutto rispetto”.
In un paese così freddo, come mai lì i brasiliani riescono a rendere così bene? “Perché sono all’interno di un meccanismo societario perfetto, riescono a metterli nelle condizioni migliori per lavorare. Hanno una rete di osservatori che partita dopo partita fanno dei report sui calciatori sudamericani, brasiliani in particolare. Li monitorano con attenzione e poi se rispondono a determinati requisiti, li prendono e li valorizzano. Non parliamo di nomi affermati inizialmente, ma poi diventano tutti calciatori fortissimi. Basti vedere Luiz Adriano, Douglas Costa, oggi Marlos”.
Lei come finì ad allenare lo Shakhtar? “Era il 2002, in quel momento ero fermo dato che avevo finito l’esperienza in Turchia con il Besiktas. Ad un certo punto, mi arrivò una telefonata a casa in tedesco….”
In tedesco? “Sì, si trattava di un intermediario della trattativa. Io ho una buona conoscenza della lingua tedesca in quanto sono sposato con una donna nata in Germania. Questa persona della telefonata mi chiese la disponibilità a diventare allenatore dello Shakhtar. Io in un primo momento rifiutai, non avevo proprio voglia di rimettermi in gioco in un altro campionato, con una lingua diversa. Poi però mi viene detto: “Mi dia retta Scala, vada a parlare con il presidente dello Shakhtar a Vienna. La porteranno a Donetsk, le faranno vedere le strutture di allenamento e tutto il resto…”.
Dunque, che fece? “Accettai il consiglio. Effettivamente il loro centro di allenamento è qualcosa di unico e assolutamente all’avanguardia. Decisi così di prendere la guida della squadra, anche se in quel momento il campionato era fermo. Non fu mai un problema di soldi, chiesi al presidente di farmi un contratto di sei mesi e poi ne avremmo discusso a fine stagione a risultati acquisiti”.
Risultati che arrivarono. “Vincemmo campionato e coppa nazionale per la prima volta nella storia. Un’impresa, che fu possibile grazie alla collaborazione dei ragazzi con cui entrai subito in sintonia. Era un gruppo forte, capitanato da Tymoshchuk. Decisi io di dargli la fascia, aveva carisma”.
L’anno dopo, però, venne esonerato nonostante i titoli vinti. “Il calcio è così. Perdemmo 4-2 in Coppa UEFA contro l’Austria Vienna una partita assurda e il presidente Achmetov si arrabbiò per quel risultato. Mi chiamò e manifestò la voglia di cambiare guida tecnica. Io accettai di buon grado, senza arrabbiarmi: “Presidente, lei è padrone di fare quello che vuole. È il proprietario”. Ci lasciammo così in buoni rapporti, tanto che per ogni festività mi manda i suoi auguri”.
Roma, invece? “Roma è stata la prima tappa vera della mia carriera da calciatore. Arrivai bambino, spaesato, in una città così grande e dispersiva. Ma con l’aiuto delle persone giuste, ebbi la possibilità di ambientarmi e vivere questa realtà nel modo giusto, senza esagerazioni per un ragazzo della mia età. In questo senso ringrazio il mio amico Attilio Brozzi. Frequentavo la sua trattoria in via della Balduina. Grazie a lui e alla sua famiglia riuscii a rendere al meglio anche in campo”.
In giallorosso fece l’esordio in Serie A. “Sì, venivo dal Milan con cui non avevo mai giocato in prima squadra. La Roma mi volle perché mi notò in un torneo disputato allo stadio Flaminio sempre nel 1966. Sia l’allenatore Pugliese sia il presidente Evangelisti rimasero colpiti dalle mie doti e quando trattarono la cessione di Schnellinger e Sormani al Milan, chiesero il mio cartellino in cambio. Il Milan del presidente Carraro accettò la proposta, ma solo con la formula del prestito. Io non avrei mai pensato di giocare tanto, invece feci tutto il torneo da titolare”.
Avrebbe continuato a giocare nella Capitale? “Sì, se avessi potuto decidere non me ne sarei andato. Stavo bene, ero il giovane del gruppo, venivo coccolato. Era una rosa fortissima formata da giocatori come Barison, Carpanesi, Carpenetti, Ginulfi, capitan Losi, Peirò, Tamborini. A fine campionato arrivammo a metà classifica, ma facemmo una buona figura”.
Fu proprio impossibile restare? “Sì, perché all’epoca non decidevano i calciatori, ma soltanto le società. Noi venivamo spostati come i soldatini. Il presidente Carraro mi rivolle a Milano e io fui costretto a tornare in rossonero. Un peccato davvero, io non mi sarei mosso”.
È vero che qualche anno fa fu vicino alla panchina della Roma? “Sì, parliamo dell’autunno del 2010. La Roma di Ranieri non giocava bene ed era in crisi di risultati. Fui contattato da una persona che mi chiese la disponibilità a rimettermi in gioco, allenando i giallorossi. Io dissi subito di sì, ma dopo qualche domenica le cose si sistemarono. Salvo poi precipitare un paio di mesi dopo, ma a quel punto fu promosso Montella dalle giovanili”.
Chi la chiamò? “Su questo preferisco non rispondere. Dico solo che sarebbe stata un’esperienza che avrei fatto molto volentieri. Non è successo, va bene lo stesso così”.
Il campionato di Serie A sembra affare a quattro tra Inter, Napoli, Juventus e Roma. Chi vede favorito? “Difficile fare un pronostico. Sono quattro formazioni forti, allenate da tecnici capaci. Se mi chiedete un giudizio sulla Roma, posso dirvi che la Roma deve crederci. Si vede la mano dell’allenatore DI Francesco e non è un fatto di poco conto. Anzi. Ma c’è pure dell’altro, sembra una squadra con potenzialità ancora inesplorate. Sta tornando Schick, ha giocatori poco utilizzati da mettere alla bisogna. I valori sono importanti. L’importante sarà lavorare in silenzio, senza fare proclami. Tra Italia ed Europa, la Roma può togliersi belle soddisfazioni. Ma in Champions League non deve fare l’errore di sottovalutare lo Shakhtar”.