State bene?
“Si, stiamo tutti bene. Qualche mese fa sono andato a Propaganda a parlare di vaccini, di cose importanti… Avevo più paura di adesso”.
Come va il corso allenatori? “Bene, siamo online e davanti a uno schermo come in qualsiasi scuola. Qualche lezione è più divertente, qualche materia ti contagia di più, altre di meno. Si è creato un gruppo Whatsapp della classe che dà grandi soddisfazioni. Da scienziati nucleari”.
Ti saresti sentito pronto per allenare la Fiorentina?
“Finché non inizi non sai se sei pronto. Comunque a livello legale non avrei potuto allenare la Fiorentina, non avevo il patentino. Ma comunque bisogna buttarsi, se accetti un’avventura del genere ti senti pronto, poi ci sono da vincere le partite e da fare i punti. Io vedo papà che allena la Primavera della Roma, con molta meno pressione, ma quando perde è sempre nervoso. Io sono elettrizzato all’idea di iniziare e farlo in una piazza calda mi piacerebbe tantissimo”.
Gattuso?
“Non lo vedevo allenatore, ma ora è uno dei più forti”.
Hai un’idea di calcio? “Ce l’abbiamo tutti quanti. Non c’è un “mio calcio”, non dobbiamo inventare la bicicletta con gli sportelli, il calcio è stato inventato da gente più brava di me. C’è da prendere spunti, poi quando inizi ti relazioni con i più bravi. Per me il migliore è Guardiola, il problema è che tutti capiscono ciò che fa ma quasi nessuno riesce a rifarlo. Se devo iniziare, mi piacerebbe farlo con quella filosofia lì. Ha cambiato il calcio, l’ha capovolto. Avrebbe vinto meno senza Messi, Iniesta, ecc. Ma nell’ultima fase della carriera l’abbiamo vissuto, faceva il possesso palla a zero tocchi: vedeva e aveva studiato un calcio diverso dal nostro”.
L’allenatore che ti ha influenzato di più è stato il primo Spalletti? “Anche nella sua seconda esperienza a Roma ho trovato un allenatore fortissimo. Lui è uno dei migliori allenatori che ho avuto, ho un bel rapporto con lui. Non è facile con lui, ha un carattere molto schietto e diretto, ma a livello di campo e idee è molto forte. Mi dispiace che non abbia avuto una consacrazione maggiore, poteva avere un’occasione in una big. Non mi ha influenzato solo lui, ma ne ho avuti tanti per fortuna. Ho avuto Capello, Lippi, hanno fatto la storia del calcio italiano ed europeo. Spalletti è l’allenatore che mi ha segnato di più perché lo ho avuto per più tempo, ma sbaglierei a non guardare anche allenatori diversi”.
Avevi visto bene su Luis Enrique… “Aveva una squadra buona, non tra le più forti che ho avuto alla Roma. Quando si parte con un progetto, non gli puoi dare dieci mesi. È andato via lui, non glielo perdonerò mai. Ha subito critiche eccessive, se hai idee come le sue un anno è poco. La sua idea di calcio ci era sconosciuto: il primo giorno ha preso un pallone, ha tirato in mezzo al campo e ha detto “giocate”. Abbiamo pensato: “Questo è matto”. Doveva capire come noi interpretavamo il calcio. Pur non avendo risultati incredibili, ci ha cambiato modo di giocare. Era scattato qualcosa: non credo che avremmo vinto quello che ha vinto col Barcellona, ma ci saremmo divertiti tanto”.
Fonseca? “È quarto in classifica, ora la Roma ha Udinese e Benevento, magari tra due settimane non sarà neanche più quarto. Mettere in discussione Fonseca è follia. Ha vissuto alti e bassi, è innegabile che contro le squadre più forti la Roma stia facendo più fatica. Ma c’è da scindere: la società è dalla sua parte giustamente, la squadra sa quello che deve fare. Non ci si deve accontentare di vincere con le piccole e perdere dignitosamente con le grandi, bisogna ambire a qualcosa di più. Ma per il gioco e per i risultati, è in piena linea se non qualcosa in più. Non sono d’accordo con chi metteva la Roma settima o ottava, la Roma è forte e non è inferiore a Milan, Napoli, Lazio o Atalanta. Ma sta rispettando le aspettative. Poi c’è il discorso di ambizione: noi eravamo arrivati a pensare in una maniera che quando arrivavamo secondi ci dava fastidio. L’anno scorso parlavo con un dirigente della Roma che mi diceva che tutto filava liscio ed erano contentissimi: era quinta dietro al Cagliari. Dire che andasse tutto bene da quinti in classifica non era giusto, ma dire che andava tutto male quando era a quattro punti dalla prima, è follia”.
La rosa della Roma senza Dzeko, Mkhitaryan e Pedro è di basso livello? “Bhè, leva Immobile, Milinkovic-Savic e Luis Alberto alla Lazio… Ci sono due squadre con undici campioni, basta”.
Il problema a Roma è la pressione della piazza? “Il fatto che la piazza sia esigente e a volte pesante sono d’accordo. Ma quando c’eri tu (riferito a Cassano ndr) ogni anno doveva fare cessioni importanti. Io da allenatore vorrei cambiare questa mentalità, se la Roma non avesse venduto i più forti, anche dopo, i vari Vucinic, Salah, Alisson e così via, la storia sarebbe diversa. Altre squadre non hanno queste necessità, così è dura competere”.
Villar? “Lui è forte, l’ho notato da subito. Sa ragionare, sa cosa fare con la palla. Sbagliò un gol facile col Parma e subì delle critiche, da allora iniziai a vederlo e dico che lui ha un grande futuro. Ma la Roma ha tanti centrocampisti forti, Pellegrini sta facendo quel salto di qualità che gli si richiedeva, si sta ritagliando uno spazio da leader”.
Il problema di Ibanez è il derby? “Il derby è importante, ma questa cosa dell’ambiente romano è ingigantita. La settimana dopo si rigioca, non muore nessuno. Prima le contestazioni erano più pesanti, ora le cose sono più tranquille. L’ambiente è tosto, ma vivibile”.
Uno come te ora alla Roma non c’è. “La personalità esiste anche nel campo. Io magari ad esempio avevo più rapporto coi compagni, parlavo nello spogliatoio, poi c’era Totti che invece era leader in campo, si faceva sempre trovare pronto. Io magari risolvevo le cose parlando, Totti le risolveva in campo. Lui non si è mai nascosto, la palla scottava ma lo trovavi sempre. Quindi non bisogna avere una prsonalità spiccata, basta farsi sentire in campo. Secondo me Pellegrini è uno che sta cambiando, sia da come parla che da come gioca”.
Può essere l’erede tuo e di Totti? “Ci sta provando, sicuramente è uno che si prende le sue responsabilità, non ha paura”.
Com’è giocare per il Boca? “Avevo una passione, ma dopo essere andato non pensavo mi prendesse così brutta. Il telegiornale subito dopo la cronaca parla del Boca. Mi sono innamorato però anche del River, poteva dar fastidio a tanti in Europa. Se la metti in Italia sta nella parte sinistra della classifica con la sigaretta. La gente era di estrazione sociale diversa, hanno un approccio simile ma è sempre l’uno contro l’altro. C’è grande contrapposizione, l’ho vissuto in maniera pura. Vivevo nel palazzo del presidente del River, non ho mai fatto fatica a riconoscere la grandezza del River. Però il Boca è una cosa enorme, bisognerebbe vivere lì per capire cos’è. Il presidente del Boca poi è diventato presidente della Repubblica. Basta dire questo. Ci sono tifoserie incredibili in Argentina, ci sono emozioni e colori che in Italia un po’ si sono persi. Nella Bombonera c’è qualcosa di diverso, riconosco la grandezza del River ma quando entri in quello stadio riconosci che la gente del Boca è diversa, sono un gradino sopra a tutti. La sera del Clasico è stata una delle emozioni più grandi della mia carriera: è da stupidi negare che è stata una sconfitta tosta a Madrid, io sono arrivato gli ultimi sei mesi e avevano nuovo staff e giocatori, hanno rimesso il Boca in piedi perché hanno un orgoglio, qualcosa di diverso dentro. Sento parlare di maglia, rispetto, amore, dei tifosi: lì ci credono. Sono una grande squadra, dal primo all’ultimo si buttavano su tutte le palle. Facevano la guerra in campo e i tifosi fuori. Quella partita l’abbiamo vinta 1-0 dopo l’andata persa 2-0, ma lo spettacolo è stato incredibile e indimenticabile. Ma meno importante di quello che è successo dopo il fischio finale: quello che fanno loro non lo fa nessuno. A Roma-Slavia Praga ero allo stadio con mio padre, era Coppa Uefa… I tifosi del Boca battevano le mani con gli occhi lucidi. Non ho sentito un fischio, un insulto. Se leggi i social si scatenano, tutto il mondo è paese, ma poi conta lo stadio, chi viene a sostenerti. E dobbiamo valutare quello anche quando si parla di ambiente in Italia. Sui social siamo tutti ultras, poi non sono gli stessi che scrivono che vanno in trasferta a sostenerti. Una volta abbiamo incontrato i tifosi prima del Clasico: sono venuti, delle facce anche particolari, ci hanno chiesto di fare una partita degna e con orgoglio. Ci hanno detto che erano una famiglia, pensavo a qualche intimidazione. Non erano ragazzini, hanno un modo diverso di fare le cose. Racconto un aneddono: mi chiedono più maglie del Boca che della Roma. Ho chiamato un dirigente del Boca chiedendo di comprare 60 magliette: ho chiesto di mandarmi l’Iban e avrei pagato. Mi ha detto che il presidente, con cui ho vissuto dieci giorni, che le avrebbe regalate lui. Mi hanno detto che ero un orgoglio del Boca, eppure sapevano che potevo permettermele 60 maglie. Sono gesti piccoli che ti fanno capire che lì è una famiglia. Lì non c’è Pallotta che vende a Friedkin, ci sono le elezioni e c’è un potere clamoroso. In quei giorni si parlava solo di elezioni. Non faccio campanilismo, il River lo stimo, il Superclasico al Monumental è stato clamoroso. Ma quelli del Boca sono diversi”.
Conte? “Lui mi è entrato dentro, la mia esperienza con lui è finita con 40 persone nello spogliatoio a piangere per il dispiacere di essere usciti ai rigori con la Germania. Quello che abbiamo fatto è tutto merito di Conte, lui ha sempre fatto bene, ha vinto con Juve e Chelsea e rischia di farlo anche all’Inter. Lo stimo sia a livello umano che per il calcio che fa. Sicuramente è un uomo particolare, spesso fa casino, ma è un uomo leale, essere un suo giocatore è difficile ma è molto bello”.
FONTE: BoboTV