Il 6 maggio la Roma di Paulo Fonseca deve affrontare il Manchester United nella semifinale di ritorno di Europa League, dopo che quella di andata era finita 6-2. Due giorni prima di giocare, cogliendo tutti di sorpresa, la società ha ufficialmente annunciato l’arrivo di José Mourinho in panchina, per la stagione successiva. Che ci fossero sentimenti contrastanti quella sera sembra scontato – la paura di perdere nuovamente con un punteggio pesante, la vaga speranza di una rimonta impossibile, l’entusiasmo per l’arrivo di uno degli allenatori che hanno fatto la storia del calcio degli ultimi decenni, il dispiacere per l’addio di un allenatore a cui in due anni si possono rimproverare poche cose – e non possiamo sapere quanto l’aspetto emotivo abbia influenzato Fonseca nella decisione che ha preso dopo mezz’ora di gioco, quando Chris Smalling, infortunato, ha chiesto il cambio. (…)
Quando intervisto Darboe le sensazioni di quella semifinale di Europa League (con cui è diventato il più giovane gambiano di sempre a giocare una coppa europea) sono ancora fresche. Darboe ricorda che a Bakoteh guardava molto calcio. «Un po’ di tutto: la Serie A, la Premier, la Liga, la Champions League. Il Barça era la mia squadra preferita».
La Roma la conosceva «per Totti e De Rossi», ovviamente, «guardavo sempre le loro partite». Anche lui, come altri giocatori africani cresciuti giocando in strada, aveva un soprannome. L’attaccante dello Zurigo e della nazionale gambiana, Assan Ceesay, ad esempio, ancora oggi è chiamato “Torres”, come il suo giocatore preferito. Darboe ha riferimenti diversi: «Alcuni mi chiamavano Xavi, altri Messi».
Pochi minuti dopo l’azione descritta sopra, Darboe fa movimento simile per evitare la pressione di Bruno Fernandes, girando sempre su se stesso con l’esterno del piede. Era per giocate di questo tipo che lo chiamavano Xavi? «Sì, perché lui faceva sempre quel movimento. E poi anche io giocavo a due o tre tocchi. Questo è il mio stile di gioco». (…)
Anche se prima di partire sognava di poter diventare calciatore professionista – «lo speravo, ma non così velocemente», aggiunge lui – a Bakoteh non aveva mai giocato in una squadra, in un contesto, diciamo così, strutturato. «Giocavo con gli amici, la squadra del paese, tra amici». Una volta arrivato in Italia, quando ha cominciato ad allenarsi con lo Young Rieti, era «tutto molto diverso. In Gambia non allenavamo le basi. Andavamo in campo, undici contro undici, e giocavamo. Già a Rieti, quando ho iniziato a giocare, qualche esercizio lo facevamo, controlli, portare palla…».
Anche lì, però, il contesto non era al suo livello: «Giocavo da solo, la mia squadra era scarsa ma io facevo 4 o 5 gol, loro giocavano tutto su di me. Io ero trequartista, prendevo palla e facevo gol. Per questo alla Roma, all’inizio, ho avuto qualche difficoltà. La tattica è stata difficile da imparare». (…)
Almeno al punto da attirare le attenzioni di uno scout o di un agente in grado di farti finire alla Roma. E poi Darboe, fino a qualche anno fa, pesava una cinquantina di chili. «In realtà è stato merito mio», racconta. «Miriam (Peruzzi) andava a vedere il mio migliore amico a Rieti, e quando l’ho conosciuta le ho detto: guarda che io sono forte, vieni a vedermi. Ma ero troppo piccolo, lei mi diceva: ho le gambe più grosse delle tue, ma dove vai? Io ripetevo: guarda che sono forte, vieni a vedermi. Alla fine ha detto: va bene, vengo a vederti. E quando mi ha visto ha parlato con Giorgio (Ghilardi) e gli ha detto che le sembravo forte, ma non sapeva se era perché giocavo con gente troppo scarsa o se lo ero veramente. Allora è venuto anche Giorgio a vedermi, che ha pensato potessi fare una carriera e mi ha fatto fare dei provini». (…)
«I primi anni con De Rossi infatti sono stati complicati, è stato lui a farmi capire come dovevo inserirmi. Il mister mi ha insegnato molte cose: gli inserimenti, ad esempio, che prima non facevo. Perché volevo sempre la palla sui piedi». Gli faccio notare che adesso una delle sue qualità più evidenti è la capacità di rendersi disponibile per i compagni, di smarcarsi senza palla. «Sì, anche questo l’ho imparato qui».
(…) dei due mediani di Fonseca lui era quello che restava vicino alla difesa, a fare da playmaker, a dare «equilibrio», come ha sottolineato l’allenatore portoghese. «Per me è uguale. Dipende dal modulo, ma posso fare entrambe le cose e anche il trequartista, come all’inizio».
(…) Dice che quando giocava in prima squadra ha conosciuto anche De Rossi junior, Daniele: «Mi dava sempre consigli, mi ha aiutato tanto».
(…) Tra le sue qualità principali, oltre all’intelligenza e la calma, che gli dico io, lui nomina «la visione di gioco e il coraggio». Da che si vede, in campo, il coraggio? «Nel volere sempre la palla, toccare tanti palloni. Sono uno che vuole sempre la palla, non ho paura di prenderla anche vicino alla porta». E il coraggio non è una cosa che si può imparare. «Il coraggio l’ho sempre avuto. Altrimenti alla mia età non avrei mai fatto quel viaggio».
(…) Quando è partito non aveva una destinazione precisa: «Il destino… io ero partito solo per avere una vita migliore». Dalla costa occidentale (il Gambia è un piccolo rettangolo all’interno del Senegal) ha attraversato il deserto, e dalla Libia ha preso un’imbarcazione per la Sicilia. (…)
È passato da una situazione di semi-anonimato all’essere il centro delle attenzioni dei tifosi romanisti (in attesa di Mourinho, ovviamente). Il rischio di perdere la concentrazione è reale: «Ma io sono molto tranquillo. Spero che questo sia solo l’inizio. Ho tanto da fare ancora, non basta fare due partite bene per essere arrivato. Ho ancora molto da dimostrare». (…)
Darboe fa parte di questo seconda categoria. «Mi piace rivedere le cose che ho fatto bene e quelle che potevo fare meglio. Con la squadra lo facciamo a parte, ma io lo faccio anche da solo, a casa, con il papà di Miriam, Giulio». E gli errori come li vive, ci pensa molto? «No, no. Voglio capire il motivo per cui ho sbagliato, così cerco di non farlo più. Ma solo questo».
(…) contro lo Spezia, da un suo passaggio sbagliato è nato il gol di Verde. E lui stesso sa di dover migliorare sotto certi aspetti: «Fisicamente voglio migliorarmi tanto. Penso che mi serve e ci sto lavorando». In generale, però, ha mostrato una freddezza e una presenza davvero da veterano, come si dice.
(…) Fino a cinque anni fa guardava le partite in tv e ci deve essere senz’altro un po’ d’incredulità quando va a stringere la mano a Paul Pogba, dopo la partita con lo United: «Ho fatto il tifo per lui anche durante il Mondiale. È uno dei giocatori che mi ispirano. Come De Bruyne, Bruno Fernandes, Pellegrini…».
Oltre ovviamente a Xavi e Iniesta: «Giocatori che prima che arriva la palla sanno già dove giocarla». (…)
La famiglia Peruzzi, che lo ha aiutato molto in questi anni, sta portando avanti le pratiche per adottarlo, ma in ogni caso non cambierà nome sulla maglia: «No, resterò sempre Darboe». Gli chiedo se si è preparato all’arrivo di Mourinho: «Penso che tutti i giocatori vorrebbero essere allenati da Mourinho. Io lo guardavo da piccolo, nel clasico». Ma tifavi per l’altra squadra! Darboe ride e quando gli dico: “Hai visto la serie su Amazon? Mourinho vuole guerrieri, vuole giocatori coraggiosi”; risponde: «Lo so, lo so. Sono pronto». (…)
FONTE: Ultimo munito