Ci ho pensato un po’ su e poi ho deciso di scrivere a Totti, al capitano per antonomasia, per le ragioni che seguono. Caro Francesco, di Roma-Juve non voglio parlare, nemmeno della qualità del gioco, della determinazione e rabbia messa sul campo nello scontro più importante della stagione, quello che mette alla prova il cuore e l’anima insieme. Ti scrivo per raccontarti dell’unica sensazione che ho provato seguendo la sfida dell’Olimpico. Ho avuto il piacere di allenarti per un breve periodo nei Giochi del Mediterraneo che alcuni anni fa con il tuo apporto e quello altrettanto importante dei tuoi compagni riuscimmo a vincere. Un ricordo per me indimenticabile. Eri già un campione di prima grandezza e cercai con qualche domanda, agli addetti ai lavori, di capire come tu fossi caratterialmente. Ti descrissero come un ragazzo viziato e difficile da gestire. Insomma un caratteraccio. Dopo il primo incontro decisi e pensai, controcorrente, che saresti stato un capitano fantastico.
Una sera, venni nella tua camera e ti lessi un articolo che riguardava Michael Jordan, grandissimo fuoriclasse del basket Nba. A grandi linee raccontava che essendo il migliore, i suoi compagni si aspettavano da lui sempre nuovi miracoli, pretendevano che risolvesse tutti i problemi nei momenti di difficoltà, che riuscisse a guidarli verso la vittoria: insomma, che fosse il loro protettore, capace di spronarli, di infondergli quella sicurezza di cui avevano bisogno per rendere al massimo. Per Michael era come sopportare un macigno sulle spalle e tuttavia l’ha fatto per anni, proprio come un grande capitano deve saper fare. Il giorno successivo tu eri in testa al gruppo e, come il cane pastore, riprendevi e guidavi il gregge che sgarrava. Ho capito allora di aver fatto la scelta giusta puntando sulla tua classe e in quel torneo, urlando, consigliando, aiutando, sei stato il Capitano. Ma c’è sempre un ma: dopo averti visto nel finale di partita, contro la Juve, mentre tutt’intorno a te, compagni, allenatore e tifosi festeggiavano la vittoria, tu, il Capitano della Roma, leggendario, un vero mito, sei corso negli spogliatoi con il volto gonfio di rabbia repressa senza curarti di quello che accadeva in quel momento. Hai mandato tutti al diavolo. Pessima decisione, perché così hai diviso le colpe. Rimanendo ne saresti rimasto fuori confermando la tua signorilità, fuori e dentro il gioco, fino a quel momento riconosciuta da tutti.
Il calcio, Francesco, è cambiato. I Viola e i Boniperti non ne fanno più parte ed è per questo che ti consiglio, in queste settimane per te tormentate e difficili, di prendere una decisione risoluta: anticipa tutti. E se questa dovesse portarti lontano dal club, non preoccuparti perché niente e nessuno potrà allontanarti da Roma, dalla Roma e dai tuoi tifosi, che ti amano davvero e ti ricorderanno sempre come meriti, il Capitano. So bene che gli addii sono dolorosi e la ricerca di un distacco a strappo è forte, ma bisogna saper pensare con generosità. Questo esige la classe che tu Francesco, ma anche Spalletti, portate addosso. Voglio dirlo con franchezza: neppure il suo ignorarti anziché abbracciarti, magari rischiando un rifiuto, mi è piaciuto, considerando che ti ha inchiodato in panchina per tutta la partita. Considera questa mia come un abbraccio affettuoso a un campione che stimo. Marco
P. S. Spero davvero che il nostro premio Oscar Paolo Sorrentino, sceso sull’erba dell’Olimpico travestito da reporter alla ricerca di grandi bellezze, non si sia accorto di quegli attimi di grande bruttezza tra te e Spalletti.