Giornata universitaria per Walter Sabatini. L’ex ds della Roma è ospite presso l’aula 4 della Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre per l’evento “Sport e Lavoro” dove verranno analizzate le dinamiche dirigenziali e le figure che agiscono in collaborazione con i dirigenti sportivi, come i procuratori.
L’addio alla Roma? “Sono applausi rigeneranti per me. Non sono polemico ma due, tre cosine devo dirle. Oggi, 28 marzo, è una giornata per me infausta. Odio aver perso la Roma, anche se per scelta, perché la Roma è stata la mia vita. Non c’è partita che non abbia visto della Roma. Oggi la mia situazione è plumbea. Plusvalenze, assets e competitività fanno grande un ds. Le plusvalenze sono servite a livello economico”.
“Il poro Piris? Mi dispiace offenderlo, è un ragazzo che ha giocato in Spagna e nell’Udinese con grande dignità, ma forse alla Roma non ci poteva stare. La partita più bella di un terzino della Roma l’ho vista fare da lui a Genova. Non voglio aprire una polemica, ma in tema di onestà intellettuale, di rapporti con la stampa…“.
Che ne pensa di Monchi? “Monchi ha intorno una letteratura, una narrazione di grandi gesta che io confermo. È stata una intuizione della Roma da sottoscrivere. Ma mi è capitato di leggere sulle rassegne che mi arrivano sul telefonino, lui viene presentato come infallibile, come un deus ex machina. Io sono stato introdotto da due testate giornalistiche importanti, con la denuncia di una mia squalifica avuta. Io sono stato presentato come un ex squalificato, Monchi entrerà come un grande uomo di calcio. Su questo la Roma ha fatto passi da gigante, migliorando i rapporti con la stampa. È quasi stato reso ufficiale il nome del prossimo ds della Roma. Non c’è ancora ufficialità, ma è Monchi. Un grande professionista. Avendo fatto questa scelta straordinaria, la Roma ha scelto un uomo straordinario. Ha generato grandi plusvalenze”.
Perché arriva sempre seconda? “L’algoritmo della vita sapete qual’è? Quello che non farà passare una macchina sotto un ponte quando crolla. Frequentare tempi e spazi evitando tragedie. Un altro algoritmo che auspico è quello che produca armonia nel gioco del calcio. Qualcosa che renda i movimenti leggeri, quasi un quadro. In quel caso sarei un sottoscrittore dell’algoritmo. Uno dei motivi per cui sono andato via è che la statistica sta sovrastando la bellezza del calcio. L’errore è una cosa umana. Il compito principale di un direttore sportivo è riuscire a coniugare il mantenimento di una squadra forte. La Roma da tre quattro anni è una squadra forte. Purtroppo è incappata in un ciclo incredibile della Juventus, ma la Roma è competitiva”.
Il derby? “Io che sono un romanista malato, perché la Roma è una malattia, sono stato contagiato. Per quelli meno fortunati però ho sempre rispettato la Lazio. Nel derby spero che la Roma giochi la sua miglior partita, una partita prepotente e arrogante, non stando a guardare di fare solo 2-0, ma anche 4 o 5″.
Le plusvalenze… “Plusvalenze, assets e competitività sono alla base di una società di calcio e questo deve perseguire un direttore sportivo. Competitività significa conoscenza del mondo del calcio, scouting e acquisizione. Lo scouting dovrebbe essere arricchita da un lavoro di intelligence, chi muove certi giocatori, come quello sud americano“.
Spalletti? “E’ un uomo un po’ polemico ma non ha mai detto una cosa inutile. Ha voluto ipotizzare una Romanway, riferita però ai comportamenti, al decoro. Cose messe tutte insieme che hanno dato in parte qualcosa che è sempre mancato a Roma. Ha dato vita a un’officina permanente, portando la Roma dentro un percorso che non è mai stato frequentato. Per fare questo ha dovuto dire cose negative, andando in rotta di collisione con Totti“.
“Troppo facile definirlo un fenomeno, tanti campioni hanno smesso sentendone la mancanza, ma nessuno riprodurrà più le sue giocate. Però è un problema gestire un calciatore così nella fase finale della carriera. Spalletti ha voluto forgiare l’idea che una squadra forte può vincere a prescindere da lui. Ha fatto qualcosa di poderoso, però guardate cose succede. Ho premesso che ha uno spirito polemista, come quasi tutti i toscani, ma lui ha coraggio vero, virtù di pochi. Un uomo che si spende per tutti, è generoso”.
“È un grande patrimonio, spero ci siano le condizioni perché lui rimanga, mi dispiace che Spalletti venga insultato da persone che non possono permetterselo. Il nostro allenatore è stato affrontato come lo si farebbe con un uomo da marciapiede ‘Spallè, nun fa cazzate’. Mi è stato chiesto di non dire chi fosse, ma è uno del mondo della comunicazione. Ci sono persone che danno della merda a Spalletti. Che cosa è questa città?”
Come è diventato DS? “Dovete studiare, dovete combattere. Non ho tutt’ora la maniera di affrontare le cose in maniera tecnologica, io dico che voi dovrete essere ragazzi liberi, ma dovete evitare l’ignoranza, che è l’unica cosa che ci sdraia. Com’è nata l’idea di diventare ds? Essendo a 30 un calciatore ignobile, io non c’ho nessuna foto perché mi imbarazza, per una serie di coincidenze fortunata, la fortuna non è una cosa periferica, sono stato fortunato perché ho giocato anche in Serie A“.
“Non avrei mai pensato di fare questo mestiere, ma ho provato a fare tutto, ho fatto anche l’allenatore un periodo, da giocatore conoscevo 120 finte implacabile (ride). Sono stato al Perugia, alla Lazio di Pinzi e Domizzi. Quando non sono stato confermato dalla Lazio, mi sono messe a ridere e sono andato a fare un colloquio con la Triestina. Senza il mio mestiere, mi sono trovato con grande imbarazzo con il nulla fare, mi sono andato a ricercare libri, testi che non ho potuto leggere perché impegnato e mi sono confrontato con la mia incommensurabile ignoranza, non so niente“.
Iturbe? “Un ottimo giocatore che ha fatto male. Quando l’ho preso era un beniamino di Roma e del giornalismo romano. È stata una mia colpa prenderlo a quelle condizioni. Quando sono entrato a Trigoria non ero il ds della Roma, sono entrato per proteggere Di Benedetto e il suo trapasso. C’era un casino a Roma, mi è stato chiesto di entrare in sala stampa ma senza contratto. Però c’era l’ipotesi giornalistica, la città mi ha ammalato. Camminavo a Piazza Cavour, inchioda un camioncino e mi urla: ‘A Sabati’, ma che cazzo fate con ‘sti abbonamenti?’. Ho riso per non farlo arrabbiare, che era un energumeno. Lì ho sentito la forza popolare della città. Iturbe era fortemente voluto e ho voluto dare un segnale di forza per la Roma, mettendo la mia società su un piedistallo. Volevo che la Roma fosse considerata una potenza a livello internazionale. Così come quando sono venuto qui, non da ds, e sono andato a prendere Lamela. Erik era sul mercato, lo stava prendendo un’altra società di Serie A italiana. Ancora oggi la mia pretesa è di dire: ‘Quando c’è la Roma non c’è trippa per gatti’. Non quelli maculati…“.
… e Doumbia… “E’ un grande giocatore. La cosa che ha fregato Doumbia è stato il sottovalutare le condizioni ignobili con cui è tornato dalla Coppa d’Africa. Contro il Parma avrei segnato anche io. Ma nessuno ricorda che Doumbia, in virtù di quell’esordio traumatico, ha comunque segnato al Sassuolo e poi ha segnato pure al Genoa. Poi è andata male, anche quella è una mia responsabilità.
Gerson? “Qualora la Roma pensi che sia una sola, me lo prendo io in una prossima squadra. È un po’ compassato ma è del ’97 e l’ambiente non lo ha accolto delicatamente. Quando girano centinaia di giocatori ci sta che si commettano degli errori. Perché la Roma non vince? Ok, ma sono tre anni che crea presupposti per vincere. Vincerà. E forse anche quest’anno”.
Cessioni? “La Roma aveva bisogno di cedere Benatia a 30 e prendere Manolas a 13. Fuori escono notizie frammentate, ma quando i calciatori si impongono di giocar male non vengono a dire di decurtarsi lo stipendio, ma se giocano bene diventano incontrollabili dal punto di vista salariale. A prescindere dalla forza economica della Roma, il rapporto costi-ricavi deve sempre essere tenuto presente“.
Dzeko? “Già l’anno scorso speravo rendesse come questo”
Radja Nainggolan? “La Roma spero non lo voglia vendere, lui è dell’88 e ha 29 anni, sarebbe un investimento folle. Il dato di fatto è che sia il giocatore più forte d’Europa. Contento di aver venduto Gervinho a 18 milioni ai cinesi”.
Su Luis Enrique… “È un uomo eccezionale che è venuto a Roma a portare il suo calcio, ma non ha funzionato. Non avevamo una grande squadra, era incompleta e l’ho fatta io. Ci fu una partita di dicembre, quella di Napoli in cui ho pensato che quello fosse il modo corretto, dopo quella prestazione non è stata sempre confermata. Il suo calcio ha funzionato altrove, abbiamo cercato di trattenerlo ma ha voluto concludere il contratto”.
Ibarbo… “Sono state raccontate stupidaggini vergognose, era arrivato in prestito per 2 milioni di euro, ha fatto una percussione contro la Lazio… ma quando un giocatore è gratis e ti fa vincere quella partita lì (partono gli applausi, ndr), una partita che ti manda in Champions League diretto, beh… Per me quando si mettono la maglia della Roma i giocatori sono più belli, anche Iago Falque”.
Yanga-Mbiwa? “Ci serviva una riserva, il mercato è sempre molto ostico e faccio un conto, riuscendo a fare un accordo con il Newcastle, con Yanga-Mbiwa che sarebbe diventando nostro dopo 20 presenze, un giocatore contraddittorio, non sapevi mai cosa stesse per fare, era un ragazzo amato da tutti. Ebbi la possibilità di venderlo alla stessa cifra ed ebbi questa situazione con il Lione. Convocai il giocatore, la presi un pochino larga e gli ho parlato per 10 minuti. Si è alzato e poi è uscito e in quei 10 minuti ero un uomo morto, sono stato ucciso da tante cose, come il 26 maggio, ma lo sguardo di Yanga-Mbiwa mi ha distrutto”.
Caratteristica principale di un ds quale deve essere? “Quando vuoi riconoscere uno stato d’animo, io tiravo giù dei pezzi di carta e ci perdevo mezz’ora. Il mio ufficio è stato sempre aperto a tutto e a tutti, preferivo che le persone si affacciassero, mi creavo delle mie cose. Mi manca il mio ufficio perché avevo tutte le mie protezioni, sapevo di cercare una cosa che mi avrebbe tranquillizzato, ora non so come orientarmi. La Roma mi ha dato una grande occasione, se dovessi tornare a fare calcio in una società meno importante della Roma, sarei contento e lo farei con la stessa passione”.
Sui tifosi… “Non si può togliere Roma ai romanisti. La Roma ha vinto quasi tutte le partite in casa, non è che abbia sofferto senza i tifosi ma una squadra è tale senza i tifosi? Lo sport non esiste senza tifosi, quando io vedo che i bambini festeggiano sono felice, il calcio è fatto per questo”.
Quanto incide la lontananza di Pallotta? “Non rispondo…”
Fare acquisti in Sudamerica? “Sul tema del Sudamericana devi chiedere a più persone, io ho visto giocatori forti ma le società detengono quote, le famiglie stesse e diventa difficile in certi casi fare acquisti e si cercano alleanze, vedete quello che è accaduto con Marquinhos”.
Sulle barriere all’Olimpico… “Non sai quanto la Roma abbia pagato questa assenza malgrado abbia vinto tante partite all’Olimpico. Tutti nel calcio lavorano per far felice la gente, non c è altro. È un concetto che non tutti i presidenti con cui ho lavorato hanno capito. La squadra si rispecchia nella gente”.
Mentre esce dall’aula Sabatini risponde ad una domanda su Schick… “In quel momento non avevo soldi per prenderlo e la Sampdoria ha tirato fuori 4 milioni cash“.