Lo sfacelo è negli occhi vuoti di Gian Piero Ventura, in quelli bagnati di Gigi Buffon, nei fischi increduli più che rabbiosi di San Siro. Siamo fuori dal Mondiale come soltanto una volta, sessant’anni fa, è capitato nella nostra storia. Una macchia nera, brutta, incancellabile. Ora la Federazione è sotto schiaffo: il c.t. perderà la panchina e Tavecchio rischia di essere messo all’angolo. Sul calcio italiano sta per abbattersi una tempesta senza precedenti. La notte di San Siro è una lunga agonia. L’Italia è troppo lenta e improvvisata per mettere alle corde la Svezia, che bada soprattutto a difendere il prezioso 1-0 dell’andata. Jorginho, regista al posto di De Rossi, cerca di impreziosire la manovra ma è spesso ignorato, mentre sulle fasce non riusciamo quasi mai a sfondare. Mancano ritmo, organizzazione, lucidità, anche un briciolo di fortuna. La buona volontà non basta. Giochiamo sui nervi e con la paura addosso, così finiamo per sbagliare anche le cose più banali e alla fine riusciamo a vincere solo la partita del possesso palla: sterile e inutile, quasi sempre orizzontale. Soltanto nel quarto d’ora finale del primo tempo gli azzurri s’impennano e riescono a mettere sotto i nostri avversari e a costruire tre occasioni. Poco rispetto a quanto ci aspettavamo e quanto serviva per andare a Mosca.
In una serata da incubo brilla la scarsezza dell’arbitro spagnolo Lahoz che non vede quattro rigori su quattro, due per parte. Un record. La partita è una specie di romanzo epico pieno di tante cose. I fischi a Ventura durante la lettura delle formazioni, quelli all’Inno svedese che neppure Buffon stavolta riesce a trasformare in applausi. L’Italia è contratta. C’è subito una spinta galeotta a Parolo di Augustinsson, ma anche due falli di mano evidenti nell’area azzurra, il primo di Darmian, il secondo di Barzagli. Per mezzora quello italiano è solo sterile possesso palla (72 per cento al 35’). Poi i gialli cominciano ad abbassarsi e la nostra Nazionale, che sino a quel momento non aveva trovato lo specchio della porta neppure una volta, sfiora il gol tre volte nello spazio di quattro minuti: Granqvist salva sulla linea il tiro di Immobile e spegne la deviazione di Parolo a colpo sicuro, poi tocca a Olsen con il tacco superarsi su Florenzi. Nel secondo tempo pareggiamo subito il conto dei rigori non dati dallo squinternato Lahoz: il fallo di Lustig su Darmian è netto.
Manca però la grinta feroce,attacchiamo a testa bassa ma senza lucidità. Ventura tenta con un doppio cambio: dentro Belotti ed El Shaarawy, fuori Gabbiadini e Darmian. Florenzi, su un cross deviato, colpisce la traversa. Ma nel momento della verità, veniamo meno. I 70 mila di San Siro cantano e spingono, ma non basta. E non basta neppure il cuore, servirebbero pressing e intensità. L’ultimo assalto, disordinato e inutile, crea un colpo di testa di Parolo fuori misura e un tiro di El Shaarawy ben deviato da Olsen. Così muoiono i sogni. Il Mondiale sta diventando una maledizione: agli ultimi due siamo usciti al primo turno, stavolta neppure ci andiamo.