Sicuro, ha un anno di più, qualche ruga da sindrome dell’eremita che gli attraversa di tanto in tanto la faccia nei pomeriggi in cui è circondato da facce ostili. Gli capita, quando alla Roma viene meno la voglia di giocare. Però Edin Dzeko mentre le stagioni gli passano sulla schiena mette insieme anche tutto il resto, l’umor nero del leader deluso quando serve (e mercoledì con il Qarabag è servito), la determinazione del maestro di pensiero disposto ad aprire la strada quando occorre (e alla Roma occorre sempre), la scelta di lasciar cadere l’immagine del simpatico ciondolone. Adesso Dzeko parla e urla e predica. Soprattutto gli aumentano a dismisura i numeri. E’ questo che accade, con gli anni: sempre più partite, sempre più gol e altre storie. Segna tanto e gli capita di rastrellare traguardi volanti particolari. A Baku nell’istante del raddoppio ha segnato il centesimo gol della Roma in Champions League, intesa come competizione prima a gironi e poi a eliminazione diretta.
Esclusa quindi la vecchia e scintillante Coppa dei Campioni, quando i gironi non c’erano, ed esclusi anche i play-off. Certo che nel caso della Roma la differenza con e senza play-off è minima. I giallorossi ne hanno disputato uno soltanto, nella scorsa stagione con il Porto, e non è finito bene. Però hanno realizzato una rete. Se contiamo anche quella, allora il 100º gol è quello di Manolas, sempre a Baku e sempre mercoledì. Ma è più congruo così, dal punto di vista statistico e anche dal punto di vista etico. Dzeko avanza come dietro la girandola di un machete attraverso la storia della Roma, segnando le pietre miliari del cammino. E’ lui la gomena che collega la squadra di Spalletti a quella di Di Francesco, la certezza della continuità, l’unico punto di contatto tra i due sistemi di gioco. Oltre al centesimo gol della Roma, quello al Qarabag è anche il decimo personale in Champions League. Dzeko e la squadra costituiscono un autentico sistema binario.