Non ora, non qui. Non sotto questo cielo, il cielo di casa nostra. Se volete festeggiare lo scudetto, fatelo da voi, tra le bandiere bianconere dello Stadium, perché qui non si passa. Concetto chiaro. Così la ruvidezza con cui Radja Nainggolan ricordava all’ex compagno Pjanic che sì, c’eravamo tanto amati, ma non vincere all’Olimpico proprio non è contemplato, è il paradigma del suo pensiero neppure tanto segreto.
ALLEGRI, RICORDI? – Ma il bisturi che affonda virtualmente nel petto di Massimiliano Allegri, però, lo impugna un altro con la cresta, uno che l’allenatore livornese conosce bene. Si chiama Stephan El Shaarawy, per tre anni hanno convissuto in un Milan che cercava di gestire un serbatoio già un po’ in riserva. Non furono stagioni banali, soprattutto quella 2012-13, in cui nel solo girone d’andata il Faraone aveva segnato 14 gol. Aveva vent’anni, e per lui si sono scomodati paragoni nobili che arrivarono fino a Giuseppe Meazza. Periodo bello quindi per l’attaccante, se si pensa che il gol segnato allo Zenit nell’ottobre del 2012 lo consacrava come il più giovane marcatore rossonero della storia della Champions. A proposito, sulla panchina della squadra russa sedeva Luciano Spalletti. Quanto basta per immaginare che Stephan, stavolta, chiuda il cerchio di una «par condicio» immaginaria che in tempi diversi ha fatto ridere e piangere entrambi i tecnici.
IL SALUTO DI RADJA – Ma se El Shaarawy – come al momento del suo gol – sa essere discreto e mortifero come la traiettoria della palla che ha battuto Buffon, chi è sempre esplosivo nello scaraventare la palla in porta come nell’esultanza è Nainggolan. La sua cresta è affilata come la sua lingua, quella con cui ha duellato tante volte sui social con i tifosi della Juventus. E sono stati scambi feroci, volgari, al veleno, tanto da far dire a Radja: «Nel club bianconero non andrei mai». Parole vere, anche perché diverse volte l’a.d. Marotta l’aveva avvicinato, ma ha capito che – tra le tante offerte che in Ninja ha sempre davanti – non avrebbe mai accettato quella juventina. E come per ribadire un’antipatia fiorente, sia al momento della rete che al momento della sostituzione Nainggolan salutava ironicamente lo spicchio di Olimpico dove erano assiepati oltre cinquemila tifosi bianconeri che intonavano il coro: «Uomo di merda». La vera dedica però il Ninja lo fa a sorpresa a un giornalista, categoria che in genere i calciatori non amano. Il prescelto è Oliviero Beha, appena scomparso, il cui figlio Manfredi è amico del belga. «Amico mio ci sono poche parole per il dolore che stai passando, ma dietro un grande uomo c’è sempre un’altra grande persona. Dedico questo gol e la vittoria a te e a lui lassù, ti voglio bene!».
«ADESSO NON MOLLARE» – In questa notte di creste – consumata tra l’altro davanti agli occhi degli osservatori del Chelsea – ogni normalità è d’altronde cancellata. «Abbiamo fatto la partita che dovevamo fare – spiega El Shaarawy – alla pari con la Juve. Siamo stati quasi perfetti. Ora siamo secondi e non dobbiamo mollare fino alla fine, perché il Napoli sfrutterebbe ogni nostro passo falso. Se poi lo facesse la Juve… Abbiamo preparato al meglio questa sfida: non potevamo sbagliarla. Dentro c’è tutto: determinazione, disponibilità e cattiveria da parte di tutti. La Juve è molto forte, ma noi siamo riusciti a sfruttare le occasioni che abbiamo creato. Per me il gol più bello da quando sono a Roma». Parole semplici, ma le serrature che aprono le porte del paradiso in genere scivolano delicate come la materia di cui sono fatti i sogni. E quello della Roma, in questa notte di maggio, si chiama ancora scudetto.