«Chi non risica non rosica», disse Eusebio Di Francesco più di un anno fa, quando a casa Gazzetta arrivò a spiegare il suo calcio. Vale come stile di gioco, potrebbe essere applicato anche come filosofia di vita. Era un giorno di marzo del 2016, la panchina della Roma non era neppure un’ipotesi, si parlava piuttosto del Milan. Cosa ora debbano aspettarsi i tifosi giallorossi dal ritorno di Difra da allenatore, forse è bene cercarlo in quella lezione di tattica che diede a via Rizzoli.
FILOSOFIA – Prima di tutto, il modulo. «Se subentrassi a stagione in corso mi adatterei – spiegò -. Però se una squadra mi sceglie sa cosa mi piace, quindi dovrà sposare il mio modo di giocare. Il 4-3-3 ha un solo problema: fai fatica ad andare a marcare il play avversario. Per il resto, è spettacolare. Io in allenamento non lavoro mai su un secondo sistema di gioco». Per quanto con il Sassuolo il 4-2-3-1 in qualche occasione s’è visto. Non un integralista, dunque. «Zeman è l’allenatore che mi ha lasciato di più, ma non sono zemaniano, sono difranceschiano : va bene l’aggressione ma non sempre. A volte bisogna temporeggiare». Poi, eccolo qui il distacco da Zeman: «In ogni caso è fondamentale l’equilibrio: la squadra si muove compatta e, se un terzino attacca, l’altro resta vicino ai difensori centrali». Il boemo, poi, era un fanatico dei suoi schemi al punto di mettere in secondo piano le qualità dei suoi calciatori. Di Francesco invece precisò: «Ai miei giocatori dico: “Se sbagliate è colpa mia”. Io non capisco gli insegnanti dei bambini che urlano “passa, non dribblare”. Così addio nuovi talenti». E ancora, il concetto di rischio: «Il mio calcio è palla in verticale, due passaggi in orizzontale sono già troppi».
I NOMI – Erano i giorni, quelli dell’incontro in Gazzetta, in cui Dzeko a Roma faceva panchina fischiato da tutti. Eppure Di Francesco, dopo Zaza («Il mio centravanti ideale»), citò proprio Edin tra i suoi attaccanti preferiti. «Mi piace, anche se non sta giocando al massimo», disse. Di Pellegrini aggiunse: «Ha grandi margini, è molto interessante. E ha una gran qualità: la disponibilità. Così si fa strada». Occhio poi a un altro nome: «Berardi potrebbe fare il titolare ovunque». Ecco perché è un obiettivo della Roma che verrà.
La prima volta che è entrato all’Olimpico e ha visto la Sud piena, parole sue, gli sono «tremate le gambe». Retorica? Stando a chi conosce bene Di Francesco, no: quando racconta di come si sia sentito protagonista l’anno dello scudetto pur giocando pochissimo «perché lì contavano gli uomini», quando racconta del negozio di abbigliamento che ha ad Empoli con Montella, quando con orgoglio ricorda l’apertura di un campo sportivo in Kosovo con Tommasi, quando non fa fatica a nascondere che l’esperienza da team manager a Trigoria non è stata indimenticabile, Eusebio non ha peli sulla lingua. Quindi, se dice che la Sud gli ha fatto tremare le gambe è vero, e chissà se succederà anche ad agosto, quando ci tornerà da allenatore della Roma.
TERZO RUOLO – Sarà la versione 3.0: giocatore, dirigente, adesso tecnico, con la speranza di raccogliere gli stessi successi. In campo ha vinto uno scudetto, quando era team manager la Roma fece il record delle 11 vittorie, adesso tocca a lui ricominciare: il centrocampista di 28 anni voluto da Zeman e confermato da Capello, ha lasciato spazio prima al dirigente che si sentiva poco a suo agio in giacca e cravatta senza potere decisionale, poi all’allenatore. In uno spogliatoio pieno zeppo di personalità, da Totti a Montella, fino a Emerson, Batistuta, Cafu e Candela, Di Francesco riusciva ad essere importante, anche se in campionato, reduce da un crac al ginocchio, giocò appena 5 partite nel 2001.
GOL E INFORTUNIO – In tutto, in giallorosso, 129 partite e 16 reti, la prima in Coppa Italia contro il Verona, l’ultima in campionato contro il Piacenza. Impossibile non ricordare, poi, nell’estate del 1999, il brutto infortunio causato da una ginocchiata di Mangone, che gli provocò una bolla d’aria al polmone sinistro. Tanta paura, ma nessuna grave conseguenza. Nell’anno d’oro 98-99, con Zeman, da centrocampista affinò la mira, arrivarono otto gol, di cui quello alla Lazio nel 3-3 del 29 novembre 1998.
CON FRANCESCO – Si abbracciarono, lui e Totti, e si abbracciarono anche nella notte di Roma-Milan, nel 2001, quando l’Inter pareggiò contro la Lazio e fu lui a dare al capitano la notizia del gol di Dalmat. La foto di quel momento oggi gira tra i tifosi della Roma, che sognano un altro abbraccio così, anche se con ruoli diversi.