Un 2018 lungo 51 partite, dall’Atalanta al Parma, dalla crisi di gennaio alla crisi infinita di quest’anno, con picchi sorprendenti come il 3-0 al Barcellona ai quarti di Champions League e la semifinale raggiunta contro ogni pronostico. Una Roma forte, determinata e poi una più fragile, giovane, di mezzo una rivoluzione estiva che ha portato nella capitale 12 volti nuovi, ma ha visto a-dar via il “ribelle” Nainggolan, il portierone Alisson e a campionato già iniziato un leader come Strootman. L’impatto di queste cessioni illustri si è fatto sentire, la linea verde richiede tempo e sta iniziando a pagare solo ora, con l’esplosione di Z-niolo, Pellegrini e Cristante, oltre ai primi sorrisi di Schick, ma in ogni caso nessuno a Trigoria si aspettava un voltafaccia del genere e gli obiettivi a inizio stagione si rifacevano a quanto di buono visto nella precedente: se emulare l’impresa europea sembrava complicato, e comunque i giallorossi sono riusciti a conquistare gli ottavi anche quest’anno, confermarsi l’anti-Juve e restare sul podio della A era una priorità data quasi per scontato. Cosi non è, la Roma è a 23 punti di distanza dai bianconeri e a -2 dalla Lazio quarta in classifica, il sesto posto non è tanto lontano dalla zona Champions, ma servirà un girone di ritorno diverso per guadagnarsi il prestigioso pass a cui la società si è affezionata da 5 anni a questa parte.
Finora i punti raccolti sono 30, non andava cosi male dal 2008-09, nella stagione scorsa al giro di boa ne aveva 10 in più e se allarghiamo l’orizzonte all’anno solare sono addirittura 20 i punti mancanti: nel 2017 erano 88, nel 2018 sono solo 68. Uno in più della Lazio, comunque, ma è una magra consolazione perché nella graduatoria degli ultimi 12 mesi i giallorossi sono quinti, dietro una Juve da record (101 punti), il Napoli e le due milanesi, entrambe a +2 e con una gara in meno rispetto alla squadra di Di Francesco. Diciannove le vittorie, 11 i pareggi e 9 le sconfitte, 66 i gol fatti e 40 quelli subiti. Dzeko è 29° nella classifica marcatori dell’anno solare dei top 5 campionati europei, con 20 gol segnati (coppe comprese) e una media di uno ogni 171 minuti. In questa stagione il suo apporto è stato minimo, quella passata è stata invece la migliore a livello personale e se ne era accorto il Chelsea, che a gennaio aveva provato a strapparlo alla Roma, senza riuscirci e accontentandosi di Emerson Palmieri. Ma la squadra ne aveva risentito lo stesso, i pensieri di mercato avevano distratto bomber e compagni, facendo sì che il 2018 iniziasse con una crisi di risultati terminata solo il 4 febbraio col successo a Verona.
Non solo, l’anno nuovo era cominciato con un caso scottante, il video di Capodanno di Nainggolan, ovvero la goccia che ha fatto traboccare il vaso a giugno, con la sua inevitabile per quanto dolorosa cessione. A inizio marzo è arrivata la prima firma stagionale di De Rossi in Roma-Torino, dopo la morte del compianto amico Astori, e sarà poi lo stesso capitano uno dei protagonisti della cavalcata Champions. Di Francesco, il primo allenatore dell’era Pallotta a superare lo scoglio degli ottavi, ha fatto molto di più, ha scritto la storia del club portandolo fino alla semifinale, arricchendo il curriculum giallorosso (e pure le casse: è stato l’anno del record di ricavi e finalmente sono arrivati gli sponsor, su tutti Qatar Airways, a popolare la maglia), che troppe vol-e sotto la voce Europa citava clamorose debacle e umilianti 7-1, e lo ha fatto con risultati inaspettati come il 3-0 al Chelsea ai gironi, do-po il 3-3 comunque dignitoso di Londra, ma soprattutto il tris al Barcellona, la rimonta del secolo, l’apice del 2018 romanista. Da ricordare, ma con qualche rimpianto in più, l’impresa sfiorata col Liverpool, dal 5-2 dell’andata al 4-2 dell’Olimpico. Tra i buoni propositi del 2019 c’è sicuramente la voglia di superare il Porto, prendersi i quarti e tornare a sognare. Con Di Francesco al comando, nonostante i due ritiri punitivi, il rischio esonero e gli “amici diventati nemici”, come dice lui. Ma la crisi sarà davvero finita?