Un esorcismo alle paure e ai vizi di una squadra ancora in quarantena. Ma che forse ha scelto la serata più fredda del 2019 per farsi passare il male di (questa) stagione. Come decine di altre volte, al momento del decollo la Roma s’era fermata, spalancando al Frosinone – che in casa aveva perso 3 delle ultime 4 gare – l’occasione della vita: le era già capitato col Chievo in casa. Ma pure a Bologna, con la Spal, a Udine. 11 punti persi contro le ultime 6 della classifica. E al 95’ della partita dello Stirpe parevano ormai diventati 13: zavorra insostenibile per chi insegue la Champions. E ancora di più all’alba della decade più importante nella stagione.
Ma la differenza tra la Roma di qualche settimana fa e quella di oggi è tutta in quell’ultimo minuto finale: nella capacità di prendersi una vittoria che nemmeno avrebbe meritato, e al 95’ quasi scaduto. Con Dzeko, che all’Olimpico in campionato non è ancora riuscito a segnare ma a Frosinone ha aperto la rimonta e poi chiuso la vittoria più importante. Non solo perché si tratta dell’8° risultato utile in fila, ma perché da oggi la Roma potrà dedicarsi, senza cattivi pensieri, alla settimana chiave dell’anno. A dire il vero Di Francesco ha fatto il possibile per dimostrare quanto ci pensasse già da prima del viaggio ciociaro. Tradendo le promesse evidentemente gonfiate della vigilia, quando ancora provava a convincersi che «la partita più importante è questa»: fuori 3 diffidati su 4, pensando come ovvio alla Lazio.
La prima tappa di un mini campionato in cui la Roma si gioca molto e lui tutto: derby e Porto in 5 giorni daranno molti degli elementi necessari al club per iniziare a pianificare il futuro da un punto di vista economico, e prima ancora tecnico. Ma la distrazione ha prodotto lo stesso effetto di un cubetto di ghiaccio nell’olio bollente: lo choc termico, complice il termometro a 2°, è costato l’inimmaginabile: il Frosinone, che in casa non segnava da 83 giorni, ha impiegato 4 minuti e mezzo a far gol alla Roma, sfruttando un horror show collettivo col primo atto affidato al retropassaggio sciocco di Nzonzi, il secondo alla dormita di Kolarov e De Rossi e il gran finale al regalone di Olsen. Un colpo a cui la Roma ha reagito con tempi generosi. Convinta forse che potessero davvero bastarle i frutti raccolti durante i 72 secondi passati tra il pari di Dzeko e il raddoppio in contropiede di Pellegrini per esorcizzare le paure e ribaltare il Frosinone.
E la paura di presentarsi al derby con la Lazio attanagliata dalla gogna di una sconfitta dove non ha ancora mai perso nessuno. E invece dopo una ripresa soporifera s’era fatta agganciare ancora dal Zaniolo del Frosinone, quel Pinamonti che, coi suoi gol, benediva la primavera nerazzurra prima del romanista e che dopo aver pareggiato avrebbe pure potuto far più male, mandando Di Francesco all’inferno e rinfocolando i cattivi pensieri di un futuro già appaltato a Sarri. L’altro ieri, di fronte a un ostacolo così inaspettato e con così poco tempo a disposizione per rispondere, la Roma si sarebbe sciolta. Stavolta ha scavato nelle proprie risorse. Come a voler dimostrare, con l’ultima palla utile, che con la stagione che accelera vuol davvero tenerne il passo.