Abbiamo toccato il fondo, dissero Tavecchio, Ventura e i protagonisti del naufragio con la Svezia. Non era vero: a 10 mesi dal playoff che le è costato il Mondiale, la Nazionale è precipitata ancora più in basso, zavorrata dalla perdurante assenza di talento e dall’abitudine alla mediocrità. Ma nessuno fa più atti di contrizione. I sempre più pallidi azzurri, sprovvisti del parafulmine dei campioni del 2006, non dimostrano consapevolezza della caduta: tra un selfie e l’altro, infastiditi dalle critiche (o impauriti, dipende dall’anagrafe), si rifugiano nell’ovatta dei club. Mancini conosce la complessità della ricostruzione: prova a sdrammatizzarla. Aveva cominciato il raduno della sua prima vera stagione da ct con l’allarme sui troppi stranieri in A. Otto giorni dopo ha dovuto constatare che la crisi va oltre il censimento dei pochi italiani convocabili. Adesso che la Polonia e il Portogallo ne hanno messo ancora più a nudo le fragilità, la squadra vede il concreto rischio di retrocessione nella serie B della Nations League.
In 3 giorni, tra Bologna e Lisbona, il ct ha ruotato 23 giocatori in due sistemi, il 4- 3- 3 e il 4- 4- 2: un record, che gli è valso l’accusa di avere cancellato ogni possibile identità tattica, mandando allo sbaraglio Lazzari e Biraghi, costringendo Chiesa al ruolo di salvatore della patria e Jorginho a quello di faro senza alternative. Il turnover portoghese, senza giocatori della Juve, del Napoli e dell’Inter, è servito a misurare una cruda realtà: Cristiano Ronaldo non c’era, ma per inguaiare la nuova Nazionale sono bastati tre ottimi giocatori, Bernardo Silva, William Carvalho e Bruma, così come 72 ore prima erano bastati Lewandowski e Zielinski. Caldara, Pellegrini, Gagliardini e Cristante non hanno sfruttato la loro occasione. Con le eccezioni di Donnarumma, Romagnoli e, nella prima partita, di Chiesa e Belotti, i nuovi azzurri non sembrano pronti ai più alti confronti internazionali. Per la generazione di mezzo, rappresentata dal capitano di giornata Immobile e da Insigne, la differenza di rendimento tra club e Nazionale sconfina nell’involuzione.
Eppure gli attori sembrano vivere distratti le parentesi a Coverciano: perfino gli ascolti di Raisport, al di fuori delle dirette della partita, attestano il preoccupante disinteresse del pubblico per un prodotto privo di personaggi identificati con la Nazionale, se è vero che fa notizia soprattutto il sovrappeso di Balotelli. Come si risolve il problema del gol? « Facendo gol » . La svagata risposta del debuttante Emerson Palmieri riassume l’indifferenza dei meno coscienti dell’importanza della maglia azzurra, mantra ripetuto spesso dal neocapitano Chiellini. Mancano più che mai i leader carismatici. Dopo la sconfitta di Lisbona è toccato al semiesordiente Berardi tentare una spiegazione acrobatica agli stenti dell’attacco ( «dobbiamo lavorare perché arrivino più palloni alle punte» ) e a Zaza fare la coscienza critica: «Abbiamo dato il massimo, ma non possiamo più chiedere pazienza ai tifosi». C’è stata un’altra stagione più complicata di questa, dopo il disastro di Stoccarda ’74. Nel dopo Messico ’86, altro momento critico, era pronta al trapianto in Nazionale la formidabile Under 21 di Vicini. La Nations League sta dicendo che la Svezia non era poi così imperforabile: ha appena preso 3 gol in casa dalla Turchia. Se non verranno ripescati a centrocampo De Rossi e Parolo, in Polonia, il 14 ottobre, la novità dovrebbe essere Florenzi e chissà se Verratti, perenne incognita. Le coppe diranno se altri, come El Shaarawy, possono uscire dal limbo. Bernardeschi potrebbe ottenere l’investitura a inventore. Chissà se basterà.