Tra perplessità, curiosità e un pizzico di malinconia per l’assenza dopo 25 anni di Totti, ieri la Roma si è radunata. Anzi, una nuova Roma si è radunata. Senza più il capitano di una vita, con un allenatore, un direttore sportivo, un responsabile medico e un team manager nuovi. Una ripartenza. L’ennesima. E per una volta a mancare, più che i nazionali, i titolari o qualche volto nuovo che potesse accendere la fantasia dei tifosi, è stato l’entusiasmo. Sì, perché questa Roma, al momento, non fa sognare. La sottolineatura temporale non va trascurata perché sino al 20 agosto, inizio del campionato, mancano ancora 44 giorni. Ad oggi, però, 7 luglio, c’è un mix strano di sensazioni che accompagna l’avventura di Di Francesco, il quinto nuovo allenatore della Roma americana che inizia stagione.
TANTO E POCO – Per certi versi è una Roma paradossale. Ieri 20 tifosi equamente divisi tra i cancelli di Trigoria e Villa Stuart ma prenotazioni degli alberghi a Pinzolo che promettono una bella cornice di pubblico per la settimana sulle Dolomiti. Oppure una squadra che presenta da un lato eccellenze ma dall’altro pericolosi stravolgimenti. Soffermiamoci sulla mediana ad esempio: se Spalletti avesse avuto a disposizione l’attuale centrocampo, con gli innesti di Gonalons e Pellegrini, la passata stagione avrebbe avuto un epilogo diverso. Magari non in campionato, più probabile in una delle due coppe. A riportare però tutti con i piedi a terra ci sono gli altri reparti. La difesa in primis. Non più tardi di un mese fa, il presidente Pallotta aveva confidato di aver capito il segreto della Juventus: «È la loro difesa che fa la differenza. Stanno insieme da tanto tempo, sono come i Celtics o i Warriors. Ciò che dovremo fare anche noi». Pronti, via la Roma ha rivoluzionato il reparto. Portiere (Alisson, che c’era lo scorso anno ma deve ancora debuttare in serie A), terzino destro (Karsdorp, che da «una semplice pulizia del ginocchio» ora salterà tutto o quasi il pre-campionato), almeno un centrale (Moreno, che inizialmente era stato presentato off records come «il sostituto numerico di Vermaelen» e invece ora da Trigoria viene dipinto come «uno dei due titolari») e aspettando il rientro di Emerson a fine ottobre, un altro terzino a sinistra. Conti alla mano, quattro su cinque. Ma vista la situazione di Manolas – in bilico tra un difficile rinnovo e la cessione – non bisognerebbe stupirsi dell’en-plein. Poi c’è l’attacco. In questo caso più che di Monchi bisognerebbe fidarsi di Di Francesco che le sue squadre le ha sempre fatte segnare. Tuttavia sostituire Salah non sarà facile. Dopo Insigne, l’egiziano è stato la miglior seconda punta del campionato. Trovarne uno del suo livello, a meno che non vengano investiti 30-40 milioni, appare difficile.
IL DS TOTEM – Sin qui le perplessità. Inevitabile però aprire un capitolo sulle curiosità. E Monchi, in questo caso, fa la parte del leone. Perché il dirigente, forte del suo passato, è il catalizzatore. Tutto passa dalle intuizioni di mercato dello spagnolo, divenuto il totem nel quale la tifoseria s’identifica. «Moreno? Se lo ha preso Monchi…». «Foyth? Se lo vuole Monchi…». «Mi fido di Monchi» è il nuovo mantra in città, radio o social non fa differenza. E al quale si aggrappa anche Di Francesco, tecnico bravo e preparato, che va però supportato in un torneo che, nonostante il salvagente della Champions sino al quarto posto, si profila più difficile rispetto all’ultimo.