Le notizie le ha date Monchi, Di Francesco, armato del manifesto dell’umiltà, ha fatto l’aziendalista, pur ridendoci su. Sotto la montatura spessa degli occhiali, Eusebio mal celava l’emozione di chi tornando a casa dopo molti anni non fa l’ospite ma il padrone. E sta per vivere la sua «grande occasione». Il nuovo tecnico della Roma è l’opposto del vecchio, anti-Spallettiano nell’atteggiamento di fronte a una platea di giornalisti che probabilmente non aveva mai avuto tutta per sé. Semplice, diretto, conciso. Non fa proclami e detta la legge del «low profile», anche se i sogni della gente li respira perché quella gente la conosce bene. La parola «scudetto» non risuona nella sala stampa di Trigoria che tante volte l’aveva sentita pronunciare, restando poi con la bacheca vuota. Di Francesco ha tutta l’aria di chi non vuole rompere il giocattolo nuovo che prima non si poteva permettere e adesso che ce l’ha deve valorizzare. Con i suoi metodi, con il suo modulo, «perché sono stato scelto per fare un certo tipo di calcio ed è giusto che lo trasmetta ai giocatori». Partendo dai leader con cui dividerà il cammino, nello spogliatoio con capitan De Rossi o fuori con la leggenda Totti, che oggi potrebbe presentarsi a Trigoria per incontrare i dirigenti: «La società ha parlato con Francesco del suo futuro da dirigente, il ruolo lo sceglierà lui perché è abbastanza grande per farlo e a breve dovrà dare una risposta. Ho un legame particolare con lui e sarei contento di continuare a lavorarci, anche se in un’altra veste».
Quanto è importante per lei il rinnovo di De Rossi? «È la prima persona che ho chiamato appena ho trovato l’accordo con la Roma. Mio figlio gioca nel Bologna, ma è un super tifoso giallorosso e, quando gli chiedono chi è il suo idolo, lui risponde Daniele De Rossi. Io condivido il perché: anche quando è in panchina, se un suo compagno fa gol è sempre il primo ad esultare e ad abbracciarlo. È un’immagine che tanti calciatori devono prendere come esempio».
Da fuori che idea si è fatto della Roma? «Una squadra di profilo alto con dei giocatori che definire interessanti è poco. Ha avuto davanti un’avversaria fortissima come la Juve, ma ha dimostrato comunque di essere di livello top».
Campionato eccellente, ma insufficiente nelle coppe: come legge queste contraddizioni? «Più che altro credo che ci dobbiamo preparare a lavorare sodo per cercare di ottenere maggiori successi in tutte le competizioni. Per raggiungere qualche traguardo dobbiamo fare qualcosa in più tutti insieme: sono qui per questo. Sono pronto per questa sfida».
Quale obiettivo centrato la renderebbe contento a fine stagione? «Non voglio fare proclami. Tutti quanti dobbiamo avere un profilo basso nel modo di fare e nell’atteggiamento. Con l’umiltà nel lavoro possiamo ottenere grandi risultati. Dove arriveremo? Non lo so. Conosco i sogni della gente, viviamo di concretezza e di speranza. L’entusiasmo è alla base».
Quanto può essere d’aiuto avere da subito il calore della Curva Sud? «Avendolo vissuto in prima persona, dico che è fondamentale. Mi auguro che sarà sempre, anzi ne sono convinto, il dodicesimo uomo in campo».
Quale valore aggiunto porterebbe invece lo stadio di proprietà? «Un valore positivo all’ennesima potenza: è il futuro del calcio, per rimanere nei top club europei. Sono convinto che ce l’avremo e mi auguro di essere qui a festeggiarne l’apertura».
La Roma, però, ha cambiato 14 allenatori negli ultimi 14 anni: ha la percezione di essere arrivato in una città che ha fretta? «Penso che nel calcio ci sia sempre fretta, però ho la serenità e il desiderio di far bene. Questo ambiente un pochino lo conosco, anche se può essere un po’ cambiato. I risultati sono alla base del calcio, li perseguiremo, magari anche facendo divertire la gente allo stadio. Tanti problemi non me li sto ponendo, la cosa più importante è cercare di creare compattezza. Significa lavorare tutti insieme per un obiettivo comune, sapendo che durante questo cammino potranno esserci dei momenti facili e difficili. Quello che noi ci auguriamo è che sia più in discesa che in salita. Questo può essere un ambiente particolare, difficile, chiamatelo come volete, ma io sono sereno nell’affrontare questa bellissima avventura».
È un tecnico che concorda con la società tutti gli acquisti o si adatta? «Voleva chiedere se sono aziendalista o meno? Faceva prima (ride, ndc). Le scelte sono condivise, le mie fortune sono quelle della società, non siamo due entità separate. Lavoriamo per il bene della Roma e insieme vogliamo mettere su una squadra forte».
Ha chiesto Berardi? «È un ottimo calciatore e ha grandissimi mezzi, questo non significa che sia un obiettivo della Roma».
Ha sempre detto che per fare il 4-3-3 servono 6 attaccanti in una rosa: conferma? «È stata una delle prime cose di cui abbiamo parlato con la società, che si sta adoperando sapendo che io spremo un po’ di più a livello fisico gli esterni. Pellegrini è un’ottima mezz’ala e il club ci sta lavorando».
Come vedrebbe Nainggolan in quel ruolo? E Florenzi? «Radja sarebbe capace di fare 18 gol. Florenzi rima voglio allenarlo, poi gli darò un ruolo. Ne può ricoprire tantissimi, dall’attacco alla difesa, ma auguriamoci innanzitutto che guarisca presto. Spero di averlo già in ritiro a Pinzolo. Sicuramente lì avrò Bruno Peres: da terzino ha espresso le sue qualità più nel Torino che nella Roma. Lo tengo in grande considerazione, ma per giocare a 4 dietro deve lavorare. Io parto dal sistema di gioco che riesco ad esprimere meglio, il 4-3-3, adattabile ad un 4-2-4 o 4-2-3-1. Si dice spesso che il mio calcio è solo verticalità: dipende con chi e dove si gioca. Non aveva un atteggiamento remissivo il Sassuolo e non lo avrà la Roma». Umile sì, ma pure battagliero.