4 giugno 1989, oggi. 10.836 giorni trascorsi fino al 3 febbraio 2019. Una generazione, un periodo storico in cui un figlio può diventare un padre. E i padri nonni. E i fratelli zii. In trent’anni cambia la vita, cambia il pianeta. In trent’anni, ad esempio, gli smartphone diventano l’unico strumento possibile per comunicare e i telefoni fissi vengono messi in cantina come pezzo d’epoca. Nessuno chiama più qualcuno a casa, ma solo sul cellulare. E nemmeno si telefona più tanto, basta una nota audio su WhatsApp. Nonostante l’evoluzione del genere umano sia continua, una costante per i tifosi della Roma è rimasta tale dal 1989.
La costante ha il nome di Antonio e il cognome di De Falchi. Lui è rimasto quel ragazzo di diciotto anni che tifava Roma e andava in trasferta a seguire la sua squadra. Quella di De Falchi fu una tragedia immane, morì per essere andato a vedere un Milan-Roma. Partita a cui non assisterà mai. Inutile ricordare il fatto nei dettagli, ancora di più incunearsi nei meandri giudiziari della vicenda. La risposta migliore in tutto questo tempo l’ha data la tifoseria della Roma. Rinnovando il ricordo, tramandandolo ai giovani, tenendolo sempre vivo ogni volta che si va a giocare con il Milan, ma pure ogni altra domenica contro qualsiasi avversario.
In Italia, nel mondo e in Europa. Pura cronaca, solo cronaca. Questa volta, in occasione della ricorrenza dei trent’anni, la curva dedicherà un altro ricordo particolare ad Antonio. Ma non sarà di certo la prima volta. Lì in basso, nel cuore della Sud, sventola sempre una bandiera col volto di Antonio. I ragazzi della curva organizzano nel mese di giugno un “Memorial Antonio De Falchi”, alla settima edizione nel 2018. Pure un canzone di una quindicina di anni fa dei “Doppia Zeta Crew”, “Quattro lettere un amore”, lo menziona: “Antonio, De Falchi, morire a diciott’anni”.
C’è stato un Roma-Milan, poi, entrato nella storia più per De Falchi che per quanto accaduto in campo. Anno 2011, stadio Olimpico. La Sud, a distanza di 22 anni dalla scomparsa di Antonio, dedica una coreografia a tutta curva con la scritta De Falchi. È il giorno in cui la squadra rossonera di Allegri vince il diciottesimo scudetto (e, al momento, l’ultimo del “Diavolo”). Ma quelle due parole nel settore più caldo del tifo romanista fanno il giro del mondo. Così come la storia di Antonio.
Già, perché un calciatore del Milan in campo in quella gara resta colpito dall’ambiente intorno e decide di raccontare nella sua biografia la serata. Soffermandosi più sul contorno che sull’impresa sportiva della sua squadra. Si tratta di Zlatan Ibrahimovic nel volume “Io Ibra”. In questo passaggio, nello specifico: “Ci sono fatti ben pù gravi di un calcio di rigore non dato – si legge – Nel 1989 un giovane tifoso della Roma, Antonio de Falchi, era andato a Milano a vedere la partita con il Milan. Sua mamma era inquieta. “Non metterti niente di giallorosso, non far vedere che sei romanista”. E lui aveva obbedito. Si era vestito in maniera anonima. Avrebbe potuto tifare per qualunque squadra, ma quando un ultrà del Milan lo avvicinò chiedendogli una sigaretta, il ragazzo fu tradito dal suo accento e subito circondato.
Fu preso a calci e pugni e morì, una tragedia spaventosa. Prima della nostra partita all’Olimpico (2011, Roma-Milan 0-0, ndr), ci fu una commemorazione. I tifosi gli resero omaggio dagli spalti, la curva della Roma fece una coreografia con il nome “De Falchi” scritto in rosso su fondo giallo. Una bella cosa, che condizionò l’atmosfera. Da brividi”. Il libro del fuoriclasse svedese uscì nel 2011 e fu tradotto in sei lingue, divenendo un best seller. E la storia di De Falchi viene conosciuta lontano dall’Italia, anche grazie a Ibra. Giustizia non è mai stata fatta fino in fondo su questa vicenda, come avrebbe voluto mamma Esperia. Ma lui, Antonio, vive nel cuore dei romanisti di ieri, di oggi e di domani. Nonostante il mondo cambi ogni giorno, la Roma e De Falchi restano.