Antoine Doinel, il ragazzino de “I 400 colpi” di François Truffaut, vide il mare e divenne grande. Luciano Spalletti farà 400 colpi in Serie A sabato contro l’Atalanta, ma lui grande lo è già da un pezzo. È un grande tecnico, un insegnante di calcio, un uomo di campo, è l’allenatore della Roma. Il suo vedere il mare è stato vivere il calcio da giocatore e poi da allenatore. “Sento tanti colleghi dire che quando escono dal campo, staccano e il loro impegno finisce lì. Per me è sempre stato impossibile, il mio lavoro ha fatto parte della mia vita, della mia casa. Il calcio è la mia vita”.
400 panchine in campionato. Che significa? “È un numero che dà una sensazione di benessere. Sono cresciuto, sono migliorato. Se ci mettiamo i quattro anni all’estero allo Zenit potrebbero essere anche di più. Sono state partite molto belle, vissute intensamente, che mi hanno dato tutte qualcosa. Il lavoro me lo porto a casa, per me è impossibile staccare e non pensare a quanto fatto con i miei calciatori. È il modo migliore per affrontare il prossimo confronto e preparare i ragazzi al meglio. Mi fa piacere che queste 400 panchine in A siano state consumate spesso con le stesse squadre”.
Empoli, Sampdoria, Venezia, Udinese e poi Roma… “Quando iniziai questo percorso ero a Empoli, a casa mia, la squadra dove ero stato capitano. Conoscevo bene tutti i giocatori e sapevo come comportarmi con loro. Poi nel ’98 passai alla Sampdoria e da quel momento ebbi un contatto con il calcio in generale. All’inizio pagai il fatto di portarmi dietro quel modo di fare amichevole che avevo a Empoli. Dovevo cambiare qualcosa anche perché a Genova e a Venezia venni esonerato, ma poi anche richiamato successivamente…”.
E cosa decise di cambiare? “Più che cambiare, imparai. Imparai a far rispettare le regole non per il piacere del singolo, ma per il bene del gruppo. Un insegnamento utilissimo, che poi è tornato utile negli anni successivi”.
Si sente di ringraziare qualcuno per questo traguardo? “Sicuramente sì. Avere una squadra tra le mani significa disporre di un enorme valore economico. Aver avuto la fiducia di tante persone è stato motivo di grande orgoglio per me. Ho sempre messo tutto me stesso nelle varie tappe. Il primo fu Fabrizio Corsi all’Empoli, poi Franco Sensi mi diede la Roma dopo l’esperienza all’Udinese dove raggiunsi la Champions League. Ringrazio pure i collaboratori avuti e gli avversari affrontati dai quali ho imparato tante cose”.
L’esordio in Serie A: 31 agosto 1997, Firenze, Empoli-Roma. Il presente contro il suo futuro anteriore. Un segno del destino… “La ricordo benissimo quella giornata e quella partita. Affrontavamo la Roma di Zeman. Il boemo è stato un allenatore che tutti noi del mestiere abbiamo guardato con ammirazione, dato che ha sempre proposto un calcio offensivo. E io ritengo il calcio offensivo il modo migliore per vincere le partite”.
Quel giorno al “Franchi”, però, iniziò con una sconfitta… “Vero, perdemmo la partita, vinse la Roma. Pareggiammo momentaneamente con un rigore di Cappellini, ma poi subimmo la loro qualità e, inevitabilmente, subimmo altri gol e finì 3-1 per la Roma. Ricordo la corsa di Tommasi e Di Francesco, il gol di Delvecchio. Era una squadra forte quella Roma di allora”.
Se ne ricorda anche altre di queste 400 in Serie A? “Ce ne sono diverse, e non solo in Serie A. Ho fatto la Serie B, la Serie C. Ricordo con l’Empoli la partita con il Monza per la promozione in B. Mi piace menzionare pure Udinese-Milan che ci permise di andare in Champions per la prima volta. Sicuramente il derby del 2006 delle 11 vittorie consecutive con la Roma. La finale in Coppa Italia contro l’Inter vinta 6-2 nel 2007. Le gare di Champions Leagueche rispolvero volentieri. E chissà se potrò viverne altre”.
Un giocatore sul quale non avrebbe scommesso subito, ma che poi si rivelò un campione? “Ce ne sono diversi. Ne cito uno su tutti ai tempi dell’Udinese. Una volta venne negli spogliatoi Gino Pozzo, figlio del patron dell’Udinese. Mi doveva presentare David Pizarro, io non lo conoscevo. Andai a trovarlo così sul lettino dei massaggi, era lì a fare delle terapie. Il lettino era lungo, lui era quasi la metà… Rimasi perplesso all’inizio, però poi si è rivelato un grandissimo. Faceva girare il pallone come in un flipper”.
In passato ha spesso citato Ventura e Guidolin come allenatori che le hanno dato molto… “Senza dubbio sono due a cui resto molto legato. Io piacevo agli allenatori, negli allenamenti andavo forte durante le sessioni di corsa. Parlavano di calcio, io parlavo di calcio con loro. Da Ventura e Guidolin ho imparato molto e spesso ho trasferito qualche loro concetto alle mie squadre. Sono due che hanno mantenuto il loro credo nel corso della carriera sapendolo trasferire al calcio moderno”.
Ventura è diventato commissario tecnico della Nazionale. “Non è un caso, è un grande allenatore. Lui fu il primo a portarmi dai dilettanti ai professionisti. Realizzò un mio sogno”.
Sabato, invece, affronterà Gasperini e la sua Atalanta dei giovani rampanti… “Gasperini mi è sempre sembrato un ottimo professionista. Ha padronanza nel dialogo con i giocatori, ha conoscenza del calcio. Ha mantenuto il suo credo adattandolo al calcio moderno, arrivando a risultati importanti. Così come i già citati Ventura e Guidolin. Sta facendo un grande campionato con l’Atalanta e ha lanciato prospetti importanti pure per la nostra nazionale”.
400 panchine oggi. E in futuro che succederà? “Il futuro è quello che andiamo a giocarci adesso. È chiaro che quando parliamo di futuro diventa stimolante, è lì che passeremo il maggior tempo della nostra vita. Per quanto riguarda adesso sono i risultati della Roma a determinare il futuro della squadra. Dobbiamo inventarcelo. Rimarremo attaccati lì, partita dopo partita. La classifica finale di questo campionato è la cosa più importante per il domani. Giochiamoci il futuro”.