Per quanto fallaci si possano rivelare i bilanci all’inizio di ottobre, cioè quando il campionato ha consumato appena una piccola fetta delle sue 38 giornate, la Roma di Di Francesco, che deve recuperare il turno con la Samp, pare proprio una squadra almeno da Champions. Il Milan di Montella invece no, per il momento, e tutto dipenderà dalla durata del momento. La sensazione non è tanto figlia del risultato di una sfida che i due allenatori amici avevano inizialmente affrontato con un’attenzione tattica molto prossima alla prudenza, quanto della differenza emersa nel momento fatidico. «Siamo stati una squadra matura», ha sintetizzato Di Francesco, aggiungendo il rimpianto per l’unica partita storta: «Con l’Inter abbiamo dominato per 70’ e perso 3-1. Una squadra matura sa soffrire nelle fasi difficili».
L’attuale immaturità del Milan è diventata evidente quando l’equilibrio tattico si è spezzato, gli spazi in campo si sono allargati e il reciproco tentativo di mandarsi al tappeto ha lasciato ko il pugile meno capace di far male: il Milan. Alla Roma è bastato liberare un po’ del suo superiore talento complessivo, che era rimasto imbrigliato. Quello di Dzeko, in particolare, ha prodotto i gol fatali: il primo con un’azione personale, il secondo col tocco smarcante di prima per lo scatto di Nainggolan, sul cui tiro respinto da Donnarumma si è catapultato con fiuto Florenzi. La ricorrenza è felicissima per l’ex infortunato: è il suo primo gol, dopo i due incidenti, e il teatro di San Siro, dove segnò per la prima volta in A all’Inter nel 2012, è il più adatto alla celebrazione. Non si è trattato di un evento casuale: aveva già fatto le prove con una puntata su lancio di Pellegrini, smorzata da Donnarumma. La somma dei talenti italiani è completata dall’innesto riuscito di Pellegrini, entrato dopo mezz’ora al posto di Strootman e capace di un paio di proficue imbucate, dall’efficace attività pendolare di El Shaarawy sulla fascia – il pendolino per definizione, Cafu, avrà osservato compiaciuto – e naturalmente dalla saggezza di De Rossi.
Tanta italianizzazione, benedetta in tribuna da Totti, non può certo essere dispiaciuta al ct Ventura. Il Milan, meno italiano dell’anno scorso, ha contrapposto principalmente la coppia Kalinic-André Silva, al battesimo in campionato: i loro duetti, per lo più spezzati dai possenti Manolas e Fazio, si sono fatti promettenti via via che passavano i minuti e l’affiatamento migliorava, però tiri in porta se ne sono visti pochini. Il più pericoloso è partito dal piede di Bonucci e l’ha vanificato Alisson. La differenza si può riassumere nel dato più impietoso: da una parte c’era Dzeko, 23 gol nelle ultime 23 partite di campionato, dall’altra un insieme di ricamatori che hanno cucito merletti spesso carini, con poca concretezza. L’esteta Çalhanoglu simboleggia l’andazzo. Usando il fioretto, ha fatto il solletico alla Roma, con la sciabola ha rimediato due ammonizioni: la seconda ha lasciato la squadra in 10 sullo 0-2 a poco più di 10’ dalla fine e ha chiuso la partita. La speranza dei milanisti è che i bilanci di inizio ottobre siano fallaci.