Ha passato la notte dormendo poco, il viaggio in aereo in silenzio, sapendo già quello che gli avrebbero detto appena messo piede a Trigoria. La notte di Porto, il rigore subito al 117 e quello implorato invano al 120’ hanno chiuso la stagione romanista di Eusebio Di Francesco. E insieme, quella del ds spagnolo Monchi, non ancora formalizzata per la necessità di trovare una via d’uscita condivisa: ne parlerà stamane con la società. Da oggi toccherà a Claudio Ranieri: è lui la scelta del furioso presidente Pallotta. Di cambiare aveva deciso prima dell’eliminazione dalla Champions, il risultato l’ha sostenuto. L’allenatore nato a San Saba, pochi metri da Testaccio, ha esattamente 80 giorni per salvare una stagione disastrosa, senza trofei per 111° anno di fila, con il 4° posto che garantisce il bancomat della Champions lontano3 punti e la convinzione che così com’era fino a ieri la Roma non sarebbe stata capace di colmare.
Dopo Zeman, Spalletti e DI Francesco, che fu team manager, è il 4° allenatore di ritorno scelto dalla proprietà americana: lui a Roma era stato già tra il 2009 e il 2011: subentrò a Spalletti, sfiorò uno scudetto, s’infranse sulla gestione di una squadra a fine ciclo e sui rapporti con alcuni leader. Quello che è successo oggi all’allenatore che sostituirà.
Dopo aver consolato l’amico Di Francesco, Francesco Totti ha chiamato Ranieri per dargli il bentornato: ma non lo ha scelto lui, a offrirgli la Roma è stato Franco Baldini, consulente di Pallotta, prima ancora della notte di Oporto. Ranieri, cacciato 8 giorni fa dal Fulham, ha accettato di legarsi soltanto fino a fine stagione: così ha battuto la concorrenza di Montella, Donadoni, Paulo Sousa. Dopo resterà con un altro incarico, per la panchina della prossima stagione la Roma ha progetti più ambiziosi: vorrebbe Sarri, con cui ha già parlato. Guarda con attenzione alla situazione Allegri, che le sfuggì nel 2013. Allenatori accessibili solo arrivando in Champions, viatico indispensabile anche per evitare una diaspora dei migliori per garantirsi le plusvalenze che il Fair Play impone a una società coi conti della Roma: non solo Manolas e Dzeko, ma pure Under, forse Pellegrini o Zaniolo. Abbastanza per rendere l’idea dell’urgenza di un cambio.
Che non è nata dalle lacrime di Florenzi allo stadio Do Dragao: il momento in cui il presidente Pallotta ha deciso che Di Francesco dovesse andare via è il 30 gennaio scorso, dopo i 7 gol presi a Firenze. Da quel giorno la percezione che la squadra non seguisse più l’allenatore ha iniziato a farsi sempre più forte. E diventata certezza sabato, con quel derby perso 3-0 controla Lazio di Caicedo e Cataldi, non esattamente la miglior versione di sé. A Di Francesco avevano chiesto un passo indietro, visto che lui stesso, da quei calciatori che un anno fa avevano dato l’anima per portare la Roma alla semifinale di Champions nella notte irripetibile col Barca, si era sentito abbandonato. Sentimento tradito nel discorso d’addio: toni freddi, formali. «Il destino ha detto questo», il saluto a una squadra gelida. Il primo a dedicargli un pensiero sui social è stato Zaniolo, quello che più gli deve.
Oggi inizia un’altra storia: Ranieri parlerà alla tv del club dopo una sosta nella sua casa dei Parioli, e domenica in sala stampa. Nel frattempo si consumerà anche l’altro addio: Monchi, scavalcato nella scelta del nuovo tecnico, lascerà oggi: flirta con l’Arsenal dell’amico Emery, dove lavora pure lo spagnolo Raul Sanllehi. Per il futuro probabile una promozione del suo vice Massara, contattato pure il ds del Lille Luis Campos. Sguardi sul futuro: per non pensare solo ai prossimi 80 giorni.