Diversi per età, ruolo, storie e provenienza, ma uniti alla voce “talento inespresso”: Pastore e Schick continuano a rappresentare le due incognite di una equazione che la Roma non riesce ancora a risolvere. Due investimenti pesanti che a Trigoria vogliono comunque difendere, in attesa che i conti tra l’impresa e la resa si decidano a tornare. Ed ecco perché con tutta probabilità nessuno dei due sarà interessato dai venti del mercato invernale, che già spirano impetuosi. Su una partenza in prestito di Schick qualche pensierino era
stato fatto nelle settimane scorse, quando il ragazzone di Praga falliva una dopo l’altra tutte le
opportunità capitategli dopo l’infortunio di Dzeko. Poi, l’improvviso risveglio in Roma-Sassuolo (niente di epocale, ma un deciso cambio di marcia) ha indotto la società a un veloce ripensamento. Se si tratta di scommettere su attaccanti da rilanciare (vedi Batshuayi, che non ha ingranato a Valencia), tanto vale riprovare con Schick, sperando di non vederlo ricadere nel torpore degli ultimi diciotto mesi.
PASTORE. Ancora più nebuloso il futuro di Pastore: d’accordo, resterà alla Roma, anche perché in questo momento la schiera dei suoi ammiratori si è parecchio assottigliata, senza contare che non è mai facile collocare un uomo da oltre tre milioni a stagione ( fino
al 2023…). Nondimeno, le sue prospettive giallorosse appaiono a dir poco complicate. È partito come un enigma: mezzala, rifinitore, esterno? Poi capita che Di Francesco si converta al 4-2- 3-1 e per il Flaco si apra la possibilità di fare il trequartista, secondo vocazione. La grande occasione è il derby, ma la sua partita dura mezz’ora, prima che la solita fitta al solito polpaccio lo faccia fuori. La storia successiva è nota: Pastore ha continuato a lottare con i suoi mali, mentre il suo sostituto Pellegrini è diventato il trequartista più brillante del campionato, prima che all’orizzonte apparisse anche il talento di Zaniolo. L’ultima chance da titolare l’ha avuta a Plzen, ma quel giorno non era pari nemmeno alla sua ombra. La realtà è cruda: al netto di un pedigree nobilissimo, oggi Pastore nel suo ruolo non è più che la terza scelta di Di Francesco, a qualche lunghezza di distanza. Costretto dal fisico a ricorrenti cadute e faticose risalite, oggi è un bersaglio facile: il suo più recente ingresso in campo, nel finale di Roma Sassuolo, è stato salutato da una poderosa bordata di fischi, che la sua professionalità cristallina non merita. Non ha certo la colpa di essere stato scelto e strapagato, semmai ha il dovere e la responsabilità di fare del tutto per riemergere ai suoi livelli, o qualcosa di simile. Tutto sommato, di tempo ce n’è ancora.
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