Con Rudi Garcia c’era una volta il consiglio dei saggi: più scena che altro, se non quando c’era da stabilire i premi stagionali. Oggi il consiglio servirebbe magari giusto per Alisson e Strootman, gli unici due giocatori della Roma titolare di domani sera che non sanno cosa vuol dire passare un girone di Champions e arrivare a sentire la musichetta di Tony Britten a febbraio/marzo. Se la tranquillità è uno stato d’animo difficilmente accostabile alla partita di domani sera, Eusebio Di Francesco almeno su un aspetto può star sereno. La Roma sa come si fa. Sa come si passa il turno, gestendo la pressione e l’ansia da prestazione di un dentro o fuori.
CON LUCIANO – Alisson e Strootman, s’è detto, al netto di quelli che partiranno dalla panchina, Pellegrini e Schick su tutti. Il resto è esperienza. È la vecchia Roma che è andata a giocarsi, solo due stagioni fa, un ottavo di finale dalle parti del Bernabeu, la sera dello Spalletti che urlò imbestialito dentro lo spogliatoio dopo aver visto facce felici per una «bella sconfitta». In quel doppio confronto col Real Madrid c’erano Florenzi e Nainggolan. Manolas, invece, c’era già riuscito con l’Olympiacos, restando scottato da un’impresa sfiorata (era il 2014) per la rimonta dei Red Devils all’Old Trafford nella gara di ritorno. Vale pure Perotti, che insieme all’amico Fazio – oltre a collezionare presenze in Europa League – nel 2010 sfidò il Cska Mosca: lacrime e sangue, ma la presenza vale non solo perché fa rima con esperienza.
DAL CITY E ELSHA – E allora sarà bene affidarsi ai grandi vecchi. Non s’offenda De Rossi, il giocatore della Roma con più presenze in Champions. Domani sera farà 51, con la Roma ha alle spalle un paio di imprese targate Lione e Madrid da sventolare e gare decisive nel girone da ricordare. Europa vuol dire intelligenza allo stato puro. È un errore che se commesso vale doppio, è un gesto tecnico che se azzeccato può valere mezza stagione. Dzeko e Kolarov (che ieri ha svolto un allenamento individuale programmato) con il Manchester City sono diventati veterani della competizione: 42 presenze il bosniaco, 40 il serbo, arrivato nel 2016 fino alla semifinale (senza giocare, ultima presenza nei quarti). Ma la copertina dell’esperienza val la pena assegnarla a El Shaarawy: 18 partite in Champions, è «solo» il settimo più presente della Roma. Ma nel marzo 2012, a 19 anni e mezzo, si giocò un ottavo di finale con l’Arsenal e un quarto con il Barcellona. Oggi, che di anni ne ha già 25, cosa volete che sia la pressione di una gara del girone?