E se nel derby fra pancia e cuore provasse a vincere la testa? Non facile. In tempi di Brexit e Usa «trumpiani» si è capito che – quando le cose non vanno – a imporsi sono gli estremismi emotivi. Il calcio ovviamente non fa eccezione e così, quando (sorprendentemente) la Roma perde 3 delle ultime 4 partite, mettendo a repentaglio la qualificazione in Coppa Italia e il 2° posto in campionato, le budella del gigante giallorosso vanno in subbuglio su un argomento che è un po’ un «evergreen»: il rapporto non facile tra Luciano Spalletti e Francesco Totti. Due premesse d’obbligo: 1) l’andamento di questa fetta della stagione ha poco a che vedere con questa storia; 2) a differenza di quanto si vociferava ieri nell’etere romano, tra i due non c’è stato alcun litigio dopo il derby.
COMPLEANNO E FUTURO – Sottotraccia, però, l’amarezza per il presente ha riportato in auge la questione dell’impiego del capitano romanista. Detto che un utilizzo dal primo minuto non è auspicato neppure dai più tottiani, nell’ambiente ci si chiede se – almeno con la Lazio – un minutaggio più corposo avrebbe potuto essere utile a spostare l’inerzia del match. Vero? La controprova non esiste e quindi tutte le teorie possono essere fumo o cemento. Di sicuro, proprio oggi che taglia il traguardo dei 58 anni, Spalletti è ad un bivio – restare o andare via – in cui anche la variabile Totti ha il suo peso. Ma anche la società esamina l’allenatore. L’intendimento è ovviamente quello di confermarlo, sorprende però come la gestione del capitano riesca a mandarlo in difficoltà non nella pratica, ma nell’emotività.
Dopo il 4-1 col Torino, ad esempio, quel tirare fuori il rinnovo di contratto del numero dieci – totalmente fuori contesto – ha stupito tutti. E allora da Trigoria giungono queste riflessioni: 1) se un anno fa lo stesso Spalletti diceva che era felice di qualsiasi scelta Totti facesse («può fare il Giggs e venire in panchina con me, o il Nedved»), adesso legare il proprio futuro, da parte del tecnico, con rinnovo del capitano è pretestuoso; 2) se il «leit motiv» di Spalletti è stato spesso: «Ce ne vorrebbero venti come Totti», la replica è questa: ma se ci sono problemi a gestirne uno, come farebbe a gestirne venti?
IL CONFRONTO – Insomma – detto che ieri la giornata è corsa lungo i soliti binari, con un discorso motivazionale da parte del tecnico alla squadra («Non molliamo», il concetto di base) – logico che la quotidianità nasconda malesseri antichi. Ancora adesso, mormorano a Trigoria, quando l’Olimpico invoca Totti, il toscano pare soffrire. Lo fa per il bene del gruppo, dicono gli spallettiani, che aggiungono: ma cosa ha vinto la Roma con Totti in questi anni? Il messaggio è chiaro: il tecnico pensa solo alla Roma e, semmai, soffre il tottismo e non Totti. Possibile. Come è probabile che quei minutaggi finali intristiscano il capitano. Con queste premesse, è sempre più forte il tam tam che vuole Totti, già dubbioso di suo, più propenso dare l’addio se resterà Spalletti. Insomma, quando Pallotta arriverà a Roma – tra il 16 e il 19 marzo – dovrà di sicuro confessare entrambi per evitare che la convivenza non sconfini nella sopportazione. Impresa ardua.