Un tempo – 10 marzo – fu: «Schick e Dzeko possono giocare insieme? Devono»; un mese dopo è diventato: «Ne sceglierò uno dei due». Ranieri usa la pretattica o semplicemente fa marcia indietro. Per motivi non solo tattici. Perché se il tecnico va contro il suo credo («mi piace giocare con due attaccanti, l’Udinese però vuole questo e credo che sceglierò uno dei due»), ovvero 4-4-2, evidentemente questa squadra non può mettere quei due nelle condizioni di giocare insieme: è abituata a giocare in una certa (vecchia) maniera e perché in questo momento gli esterni ranieriani sono troppo attaccanti per poter fare i centrocampisti e perché le chances che Dzeko e Schick hanno avuto per giocare insieme le hanno sfruttate solo a metà.
Quindi, la coppia oggi è in crisi, tanto per usare una forzatura dialettica. O forse coppia – intesa come uno vicino all’altro – non lo è mai stata. In questo momento tutti e due meriterebbero di giocare, chi per un motivo e chi per un altro. Dzeko perché è Dzeko, perché ha una storia alle spalle e perché ha lo spessore per essere titolare, seppur il rendimento quest’anno non è nel suo standard. Edin è fermo a sette gol all’Olimpico e cinque in Champions, gli manca la rete casalinga dal 28 aprile scorso. La prestazione però, Dzeko, alla fine l’ha quasi sempre portata a casa e questo Ranieri lo ha apprezzato, conosce la sua importanza dentro la squadra, anche senza gol. «Il ragazzo è determinato e io sono convinto che nel finale di campionato tornerà al gol visto il suo impegno quando gioca, e questo è importante», appunto.
QUESTIONE DI CARATTERE – Schick, invece. Perché meriterebbe di giocare? Perché è un grosso investimento e non va buttato dalla finestra. Perché a Genova ha contribuito, specie con Edin al fianco, a far vincere la partita alla Roma. Perché quel talento prima o poi lo farà vedere etc etc. Il problema è tutto qui. Un allenatore, è successo a Di Francesco e sta più o meno accadendo lo stesso a Ranieri, guarda molto l’aspetto caratteriale di un calciatore.
Tra due calciatori non al massimo, prende sempre quello che spaventa gli avversari con la sua presenza, con la fisicità, con l’esperienza. Succedeva anche a Capello ormai quasi vent’anni fa: Batistuta era sempre in campo, anche se in una partita era utile solo nella propria area di rigore su un calcio d’angolo avversario. Domani vedremo chi tra i due la spunterà: la sensazione è che la pallina si rifermerà di nuovo sul nome di Dzeko. Ranieri dovrebbe puntare ancora sul 4-2-3-1, specie con il recupero di Florenzi, che si piazzerà a destra nei quattro di difesa, completata da Fazio, Manolas e Jesus, in mezzo De Rossi (che ieri non si è allenato, va vaultato oggi e domani, ma non sembra in dubbio), Cristante, elogiatissimo da Ranieri («uno stantuffo»), poi Pellegrini a trequarti con Zaniolo a destra, El Shaarawy (o Kluivert) a sinistra e uno dei due in crisi ndi coppia là davanti. L’obiettivo è la Champions, che resta possibile, basta non sbagliare niente.
Il resto è futuro. «Sarà un cammino difficile, ci sono molte squadre che lottano come noi e dobbiamo fare molto per i nostri tifosi. La Champions è lì, ci vogliamo andare. Il Totti dirigente? La persona giusta per il futuro perché ama Roma è capace e passo dopo passo sta entrando in questo aspetto. Ha voglia di entrare in alti livelli, bisogna saperlo anche aspettare e farlo crescere perché nessuno nasce imparato. Ogni lavoro ha i suoi pregi e difetti. Lui sa molto del calcio giocato e sta ampliando le sue conoscenze».
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni