Se il buongiorno si vede dal mattino il “percorso” auspicato martedì dal Ministro dell’Interno Marco Minniti e demandato al capo della Polizia Franco Gabrielli, teso a rimuovere le tante vituperate barriere dello stadio Olimpico, non è iniziato esattamente con il piede giusto. È bastata una serata di inizio febbraio, in uno scarno scenario popolato da poco più di ventimila spettatori (malgrado l’elevata posta i palio e la tradizionale importanza che abbraccia ogni Roma-Fiorentina che si rispetti) per far tornare nella mente dei tifosi romanisti i fantasmi che da ormai due anni rappresentano il vero e proprio deterrente, in grado di tenere lontano dagli spalti non solo il tifo organizzato ma anche molti “semplici” tifosi, stanchi di dover sottostare a regole e balzelli più adatti a un check-in aeroportuale che a uno stadio di calcio dove, a rigor di logica, dovrebbe prevalere l’aspetto ludico e dove certamente non si dovrebbero tenere lezioni di Galateo e linguaggio educato.
In diversi settori dell’impianto di Viale dei Gladiatori martedì scorso alcuni tifosi hanno visto sequestrate le proprie sciarpe recanti scritte e sfottò contro le squadre storicamente rivali. Dal “Lazio m…” allo “Juve ti odio”. Motivo? La discriminazione territoriale. Ovviamente. La stessa che negli anni passati ha prodotto la squalifica per alcuni singoli settori e lo sdegno a comando di buona parte della stampa. A parte l’ironia nel constatare come non possa chiaramente sussistere la stessa quando viene chiamata in causa l’altra squadra della città, e la logica riflessione su quanto possa esser ottuso prendere sul serio, tanto da vietare, simili oggetti, ci si chiede come mai cotanta solerzia e voglia di educare venga riservata quasi sempre ai tifosi di calcio? È chiaro che paghino il loro peccato originale di occupare nella scala sociale il ruolo di “cavie da laboratorio”, utili a sperimentare nuove forme di repressione controllo delle masse.
Non da meno è stato il “solito” trattamento riservato ai tifosi ospiti, che ormai ha fatto desistere diverse tifoserie dall’affrontare la trasferta nella Capitale. Se i fan del Pescara (come quelli dell’Internazionale) hanno deciso di boicottare la sfida con la Roma, memori di quella contro la Lazio che li aveva visti arrivare a partita iniziata, scortati sull’A24 come deportati e in seguito multati per non aver rispettato i posti, i cesenati e i viola hanno optato per un iniziale silenzio contro le folli disposizioni messe in atto a Roma. Come sovente avviene negli stadi italiani molti di loro sono stati filmati, documento alla mano, pur non avendo compiuto nessun atto delinquenziale o violento ma per esser “colpevoli” di portare una bandiera o uno striscione (che come si può vedere da alcune foto del settore ospiti non recavano nemmeno scritte offensive).
Un comportamento non nuovo, basti ricordare come vennero gestiti i tifosi del Frosinone lo scorso anno a Napoli: ripresi uno a uno neanche fosse una retata camorristica. Tutto questo rende quanto meno “divertente” il voler impartire al pubblico pallonaro lezioni di educazione su cosa scrivere all’interno delle sciarpe al fine di evitare la celeberrima discriminazione territoriale. Conosciuta fino a qualche anno fa come sfottò.
Un pubblico peraltro vessato da una vera, costante e cieca discriminazione territoriale: quella sui biglietti e sulle trasferte, generalmente soggetti a una vendita regolata dalla provenienza geografica dello stesso. Ricordate? “Sei di Bergamo e vuoi vedere l’Atalanta a Roma? Se hai la tessera del tifoso forse ti ci mandiamo, altrimenti rimani a casa essendo residente nella città orobica”. Non è certamente la prima volta che ciò avviene. A Roma come in altre parti d’Italia. Ma è quanto meno curioso che tali “sequestri” (perdonate le virgolette ma già usare questo termine in riferimento a sciarpe e magliette è quanto meno singolare) si concretizzino proprio nella giornata in cui, probabilmente, è andato in scena un capitolo fondamentale per la rimozione delle barriere erette nei settori popolari dello stadio Olimpico.
Inoltre se si esula momentaneamente dal discorso relativo allo stadio Olimpico, occorre inquadrare il tutto nell’ennesima prova di forza volta a burocratizzare il tifo negli stadi di calcio. Elementi e imposizioni che ormai da anni contraddistinguono la vita media di un tifoso. Dall’obbligo nel chiedere autorizzazioni per le coreografie e gli striscioni, passando per il divieto a tamburi e megafoni, ai titoloni scandalistici e moralizzatori in occasione delle contestazioni (anche pacifiche) nei confronti di squadre ree di aver fallito stagioni o partite importanti. Alle condanne preventive. Il tifoso deve essere sempre ligio al ruolo che gli ha assegnato il sistema calcio. Un esempio attuale? Quanto avvenuto a Pescara, con la macchina del presidente Sebastiani data alle fiamme e la colpa subito focalizzata dai giornali sul tifo organizzato degli abruzzesi. Pur non essendoci ancora nulla di concreto a tal merito.
Processi mediatici che iniziano ben prima dell’individuazione di un colpevole e che contribuiscono a formare nella mente dell’opinione pubblica la percezione di un “mostro a tre teste” che va sempre e comunque combattuto. Sia chiaro, nella fattispecie l’episodio di Pescara è assolutamente deprecabile e i colpevoli vanno puniti, ma perché additare qualcuno o qualcosa senza avere la minima prova? Ieri mattina, in riferimento all’accaduto su “Il Centro” si parla addirittura di terrorismo. Un’esacerbazione dell’avvenuto e l’utilizzo fuori luogo del termine in questo periodo storico. Un alone di stucchevole perbenismo, misto a pregiudizio, che ormai pervade le menti di chiunque sia chiamato a giudicare o “metter mano” su una qualsiasi manifestazione sportiva ove si assembrino dei tifosi.
Curioso poi che spesso a farsi carico di tali decisioni siano organi o personaggi che nel loro curriculum non hanno certo le carte in regola per insegnare educazione e buone maniere al prossimo. E ancor più assordante risulta il silenzio dei media su questi avvenimenti che ormai rappresentano la normalità in quasi tutti gli stadi italiani. Quando si parla di “vivibilità degli stadi” ma soprattutto delle celeberrime “famiglie allo stadio” si dovrebbe tenere conto di questo. Così come andrebbe sottolineato il fatto che ieri un allegro nucleo familiare da tre che voleva assistere al match spendendo meno possibile avrebbe dovuto sborsare 105 Euro per una curva (con la scarsa possibilità di vedere nitidamente il match) mentre i tifosi viola presenti all’Olimpico hanno pagato il loro tagliando ben 45 Euro. Un mix di repressione, caro biglietti e scomodità che produce ormai uno scenario a dir poco desolante quando Roma e Lazio giocano tra le mura amiche.
Proprio qua deve essere individuato il cuore della “Questione romana”. Quel percorso di cui Minniti ha imposto il compimento a Gabrielli si spera che sia in grado di riportare ogni cosa al suo posto. A cominciare da quel clima di normale folklore che si deve respirare in ogni stadio, per garantire al già claudicante calcio italiano di essere ancora minimamente appetibile al pubblico. Per finire con una minima armonia da ristabilire tra tifosi e istituzioni. Assolutamente fondamentale (questa sì) per avere una piena e cosciente gestione dell’ordine pubblico. Gli ultimi due anni di folle repressione hanno acuito, nella maggior parte del pubblico calcistico, la distanza ideologica e di tolleranza con chi la domenica è chiamato a fare servizio d’ordine.
E forse questo è uno degli aspetti più gravi. Che ne dicano grandi firme ed esimi personaggi che fanno a gara per scongiurare la rimozione delle barriere e “restituire lo stadio in mano ai violenti” un percorso verso la normalità può soltanto giovare a lenire un astio complessivo che aumenta ancor più una tensione sociale di cui questa città e questo Paese non avrebbero davvero bisogno in questo periodo storico.
Una maglia o una bandiera goliardica e di sfottò non hanno mai ucciso nessuno. Bisogna saper distinguere tra cosa è davvero pesante e inaccettabile e cosa rappresenta invece l’aspetto folkloristico e passionale del calcio. Chiedete a qualsiasi tifoso laziale e romanista se preferirebbe un derby con invettive reciproche per 90’ oppure quelli di adesso: con lo stadio vuoto, grigio e silenzioso.
Quando l’Italia riuscirà a uscire dalla logica dell’emergenza continua e si metterà in testa di gestire le singole situazioni con criterio e professionalità ne guadagneremo tutti in fatto di qualità della vita. Stiamone certi.