Fabio Junior Pereira doveva essere il bomber della Roma del nuovo millennio. Quello che Franco Sensi aveva inseguito invano per tutta la sessione estiva di trasferimenti del 1998, ma che riuscì a ingaggiare solo in quella invernale di riparazione nel gennaio ‘99.
Quello che avrebbe dovuto far le veci di Batistuta, Inzaghi, Montella, Trezeguet, del connazionale brasiliano Christian dell’International di Porto Alegre, con cui era stato in ballottaggio fino all’ultimo.
Doveva svolgere il lavoro che Gustavo Bartelt non riuscì a compiere (a parte Roma-Fiorentina, dove comunque l’argentino NON segnò). Doveva rappresentare il futuro del club per l’ingente esborso economico. Addirittura, al suo arrivo, qualcuno lo paragonò a Ronaldo “il fenomeno”, “ma Fabio Junior ha più forza fisica e colpo di testa”, disse o scrisse qualcuno.
La storia è andata diversamente, purtroppo. Dal soprannome “L’urgano blu”, fu liquidato come sosia di Aldo Baglio del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Con la maglia della Roma, almeno sul campo di calcio, la parentesi durò circa tredici mesi.
Dall’esordio in gare ufficiali il 7 febbraio 1999 a Venezia in campionato, alla ventritreesima sfida – sempre di Serie A – il 5 marzo 2000 all’Olimpico contro il Torino. La ventiduesima apparizione – trovando il chiodo di cronaca con la partita in oggetto del Match Program – la fece proprio al Tardini di Parma, prendendo parte – di fatto – all’ultima trasferta da giocatore romanista. In totale, mise insieme 23 partite e 5 gol segnati.
“Il mio rammarico più grande è di non aver potuto dare di più a questa gloriosa società. Sono passati tanti anni, però mi fa piacere poter raccontare la mia storia nella Roma in questa intervista…”, dice l’ex giocatore nato nel 1977.
Inizi pure a raccontare, allora, signor Fabio Junior Pereira. Come preferisce essere chiamato? “Per voi romanisti, va bene solo Fabio”.
E allora vada per Fabio. Arrivò dal Cruzeiro nel mercato di gennaio del 1999, per la cifra di trenta miliardi di lire, all’epoca acquisto record per la Roma. Poi, la sua avventura in giallorosso si esaurì rapidamente. Forse pagò le troppe aspettative sul suo conto? “Il fatto economico non c’entra. È normale che la gente riponesse su di me speranze, essendo arrivato dal Brasile con credenziali importanti. E le credenziali me le ero tutte guadagnate sul campo. Avevo 22 anni non ancora compiuti, avevo segnato tanti gol nel Cruzeiro e mi ero affacciato nella Seleçao. E tanti parlavano di me sui giornali come un “crack”, tanto che mi chiamavano “L’urgano blu”. Blu come la maglia del Cruzeiro”.
Cosa non andò, allora? “Il caso di “Passaportopoli”, la vicenda dei passaporti in cui fui coinvolto io e altri giocatori del campionato italiano, compresi alcuni dirigenti. Ebbi problemi per questa vicenda, anche se non c’entravo nulla e non avevo responsabilità dirette. La cosa mi ferì molto e – inevitabilmente – questo sentimento negativo si rispecchiò anche in campo”.
Eppure, prima di quella vicenda, non cominciò nemmeno male la sua esperienza. Un palo sfortunato all’esordio con il Venezia e subito in gol nella seconda gara con la Sampdoria, all’Olimpico. “Esattamente. Nonostante venissi da un altro paese e un altro calcio, non ebbi tantissime difficoltà ad inserirmi nella squadra. Quando ebbi la fiducia dell’allenatore di turno e del club, il mio apporto credo di averlo dato. Con Zeman mi trovavo bene. Successivamente, però, le cose cambiarono e non fu facile incidere nei risultati delle partite subentrando in corso d’opera, con pochi minuti a disposizione”.
Nell’estate 1999 ci fu anche l’avvicendamento in panchina, da Zeman a Capello. “Con il mister Capello ci fu un altro tipo di rapporto, a differenza di Zeman. Ma non gli do colpe specifiche. È sempre stato un tecnico vincente, in quel momento storico aveva altre idee e credeva nei suoi calciatori, come anche è normale che sia. In ogni caso, con lui in panchina segnai due gol. Uno con la Reggina in campionato, l’altro in Coppa UEFA contro il Goteborg”.
Alla fine della stagione 1999-2000 iniziò il suo girovagare di prestiti per società brasiliane, ma sempre da tesserato della Roma, dato che firmò un contratto di cinque anni. “Quando andai via da Roma, ero molto triste. Fu dura accettare di partire senza aver potuto dare e dimostrare qualcosa per la società che mi aveva acquistato per così tanti soldi. Quello fu un momento difficile per me, il più brutto senza dubbio”.
Il momento più bello, invece? “In quest’esperienza tutti i momenti sono stati importanti. L’affetto delle persone, il rispetto e anche l’esperienza di vita: imparai tanto all’epoca. Era bellissimo incontrare ogni giorno a Trigoria diversi tifosi che venivano per acclamarci. Davvero, se potessi tornare indietro nel tempo magari prenderei altre decisioni e forse la mia storia a Roma sarebbe stata un’altra. Mi sarebbe piaciuto, ad esempio, aver potuto almeno far parte della rosa dello scudetto del 2001 con Batistuta e altri campioni. Fui comunque felice quando la Roma vinse il campionato”.
Il giocatore migliore con cui ha condiviso lo spogliatoio della Roma? “Difficile scegliere. Sono stato parte di una grande squadra, con calciatori di altissimo livello come Cafu, Aldair, Montella, Di Francesco. Ma quando si tratta di qualità tecnica e fedeltà alla società, non posso non menzionare il mio amico Totti. Francesco, oltre ad essere un grande giocatore, è anche una persona fantastica. Mi aiutò molto quando arrivai”.
Della sua carriera è soddisfatto? “Molto. Le persone che conoscono la mia storia sanno bene di cosa sto parlando, di tutti gli ostacoli che ho dovuto superare per arrivare dove sono arrivato. La povertà, la concorrenza in varie categorie per emergere. Ho molto più da festeggiare che da rimpiangere. Anche perché non si può sempre avere tutto dalla vita”.
Nel 2005 tornò anche in Europa, al Bochum in Germania. “Il primo anno eravamo in seconda divisione tedesca. Poi, fummo promossi in Bundesliga. Giocai una trentina di partite in due anni, non male, anche se non segnai tantissimo. Comunque, ripeto, sono contento di ciò che ho fatto. Ho giocato in grandi club brasiliani, ho fatto un’esperienza in Giappone, poi altri giri tra Emirati Arabi e Israele. Ho pure difeso la maglia del Brasile in alcune gare. Non a caso, oggi vengo rispettato da tutti nel mio paese”.
Di cosa si occupa attualmente? “Faccio il commentatore sportivo per Globo Esporte, la più grande emittente brasiliana. Sono molto contento di questa nuova fase della mia vita professionale. E poi, sono sposato con una donna bellissima, Fernanda. Abbiamo una famiglia numerosa, con tre figli”.
La sua ex squadra in Italia la segue ancora? “La Roma la vedo sempre in tv perché sono rimasto un tifoso giallorosso. E lo sarò a vita, nonostante le cose non siano andate come volevo”.
Titoleremo questa intervista “Sostiene Pereira”, giocando sul suo nome completo e sul titolo di un noto libro e film italiano. Va bene lo stesso per lei, Fabio? “Va benissimo. I tifosi della Roma mi hanno regalato gioia, così come pure la Roma che mi diede fiducia. Da parte mia, sarà sempre forza Roma”.
FONTE: AS Roma Match Program